Giustizia, Piercamillo Davigo condannato a 15 mesi per aver fatto circolare i verbali segreti del caso “Amara”

Davigo nel 1993 pronunciò una frase che oggi sembrerebbe profetica: “Non esistono innocenti, esistono solo colpevoli che non sono ancora stati scoperti”

Piercamillo Davigo, uno dei magistrati simbolo del pool “Mani pulite”, è stato condannato dal Tribunale di Brescia a 15 mesi con l’accusa di violazione del segreto sul “caso Amara per aver fatto circolare, all’interno del Consiglio superiore della magistratura, i verbali segretati dell’ex avvocato esterno di Eni, Piero Amara, sulla loggia massonica Ungheria.

Di cosa stiamo parlando?

La loggia Ungheria sale alla ribalta nel dibattito italiano a causa della sua presunta influenza sulle nomina dei magistrati,  condizionando così le dinamiche interne alla vita giudiziaria e politica italiana.

Uno dei protagonisti principali di questa vicenda è Piero Amara, avvocato radiato dall’Ordine e condannato per depistaggio, che aveva ideato il “metodo Siracusa” per dirottare inchieste scomode per l’Eni a procuratori amici, che poi avrebbero provveduto a insabbiare tutto.

La storia legata a questa associazione segreta ha avuto inizio nel 2019, quando Pietro Amara riferisce alla procura di Milano, nell’ambito del filone d’inchiesta “Falso complotto Eni”, l’esistenza di una lista di 40 nomi, composta da personalità influenti e che comprendeva esponenti delle Forze dell’Ordine, imprenditori, magistrati, avvocati e politici. Le indagini partono con alcune perquisizioni che però non danno risultati sufficienti e non vengono trovate liste di nomi o riferimenti certi a logge paramassoniche.

Cantone archivia l’inchiesta

Il 5 luglio 2022 il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, con i sostituti Gemma Milani e Mario Formisano, chiede l’archiviazione del procedimento sulla loggia Ungheria perché “non sono emersi elementi che potessero attestarne l’esistenza al di fuori delle dichiarazioni di Amara”.

Raffaele Cantone, nel suo comunicato, fa riferimento a un procedimento che comprende 167 pagine e un enorme fascicolo di documenti raccolti in quasi 15 faldoni. Secondo il procuratore, l’esistenza della presunta loggia massonica occulta non è supportata da prove sufficienti e non sono emersi elementi, neanche indiretti, che ne attestassero l’esistenza al di fuori delle dichiarazioni di Amara.

Dubbi sull’efficacia delle indagini della Procura di Perugia

Rimangono dubbi sulle indagini condotte dalla procura di Perugia, che parrebbe aver ignorato gran parte la lista degli appartenenti a Ungheria, che nel frattempo era arrivata a comprendere 90 personaggi influenti. Cantone si sarebbe occupato solo di chi si era autoaccusato di far parte della loggia, come Pietro Amara, Giuseppe Calafiore e Alessandro Ferraro, e degli imprenditori Alessandro Casali, Fabrizio Centofanti oltre a Denis Verdini, questi ultimi tre già coinvolti in precedenti indagini.

Ma il succo della questione è che non c’era alcuna loggia Ungheria, o meglio, che non è ampiamente dimostrabile, né esisteva un’associazione segreta composta da alti magistrati, avvocati, imprenditori, politici e generali delle forze armate uniti per influenzare nomine e promozioni all’interno dell’apparato pubblico. Inchiesta archiviata.

Un errore giudiziario

I fatti che riguardano Davigo e la condanna a 15 mesi, bollata come un “errore giudiziario” dall’avvocato Francesco Borasi e dal professor Domenico Pulitanò, risalgono all’aprile 2020, quando il pm Paolo Storari si rivolge a Davigo, all’epoca consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), per lamentare un presunto immobilismo dei vertici della procura di Milano, o forse semplicemente per tutelarsi,  sulle indagini relative a Ungheria. Storari consegna a Davigo alcuni verbali dell’avvocato Amara che parlano dell’esistenza di una loggia massonica segreta.

Troppe persone hanno letto i verbali

Davigo porta i verbali al CSM e li mostra o ne parla con diverse persone, tra cui il procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi, l’ex presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra e le segretarie Marcella Contraffatto e Giulia Befera. I verbali finiscono anche nelle mani di alcuni giornalisti e del consigliere del CSM Nino Di Matteo.

Dopo una lunga carriera immacolata, “Piercavillo”, così veniva ironicamente chiamato negli anni ’90,  per la prima volta si ritrova nei panni del condannato il magistrato che ai tempi di “Mani pulite “diceva che “Non esistono innocenti, esistono solo colpevoli che non sono ancora stati scoperti”

 

Copertina: Festival della Comunicazione 2015

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