E il Pe pensa alle sanzioni contro il leader serbo, Milorad Dodik
Bruxelles – “Serve un’azione urgente dell’Ue, è in gioco la nostra credibilità”. E ancora: “L’Unione Europea e i suoi Stati membri dovrebbero finalmente imporre sanzioni mirate a Milorad Dodik – il presidente della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina che è già soggetto a sanzioni da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito – e ai suoi alleati, se necessario a livello bilaterale”.
A chiederlo, in una nota congiunta, sono il presidente della commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo, David McAllister, il relatore per la BiH, Paulo Rangel, e il capo delegazione del Parlamento per le relazioni con la BiH e il Kosovo, Romeo Franz.
Gli europarlamentari condannano “con fermezza” l’adozione da parte dell’Assemblea Nazionale della Republika Srpska della legge sulla non applicabilità delle decisioni della Corte Costituzionale bosniaca, considerata “un attacco diretto all’ordine costituzionale della Bosnia-Erzegovina (BiH) e una palese violazione dell’accordo di pace di Dayton“.
Accolgono favorevolmente la decisione dell’Alto rappresentante per la BiH, Christian Schmidt, di “revocare tali leggi” e di apportare “modifiche al codice penale” bosniaco, al fine di fornire “agli organi di polizia e alle autorità giudiziarie competenti gli strumenti necessari per contrastare adeguatamente i tentativi di minare l’ordine costituzionale del paese”. Tuttavia, gli europarlamentari osservano che “è urgentemente necessaria un’ulteriore azione da parte dell’Ue” che non si limiti a un’allineamento verbale alle decisioni dell’Alto Rappresentante.
“La credibilità dell’Unione Europea è in gioco”, avvertono gli europarlamentari, sottolineando la necessità di sostenere il cosiddetto “guardiano degli accordi di pace” con iniziative specifiche. “Non possiamo più permettere a un secessionista sfacciato e ai suoi seguaci, anche all’interno del parlamento dell’entità, di minare sistematicamente il Paese e il suo futuro all’interno dell’Europa, mettendo a rischio la pace e la stabilità”, concludono. “Lo dobbiamo alla Bosnia-Erzegovina, ai suoi cittadini, alla regione e a noi stessi”.
Un po’ di storia
Negli anni ’90, durante la dissoluzione della ex Jugoslavia, la Bosnia-Erzegovina è stata teatro di epurazioni etniche e spinte ultra nazionaliste e secessioniste guidate da Slobodan Milošević. Finita la guerra, con gli Accordi di Dayton il Paese è stato posto sotto tutela internazionale e diviso in due entità, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (croato-musulmana) e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (Repubblica Srpska). Quindi un solo Stato ma due repubbliche e tre popoli che le abitano: i bosgnacchi, che sono musulmani, i croati, che sono cattolici, e i serbi, che sono ortodossi.
La capitale del Paese è Sarajevo.
La Bosnia-Erzegovina è una società multietnica. Queste diversità etniche e culturali sono riflesse anche nella sua complessa struttura politica. Il Paese, in effetti, ha un sistema di governo decentralizzato con una presidenza collegiale composta da tre membri, rappresentanti dei tre gruppi etnici, la cosiddetta “presidenza tripartita”.
È anche un candidato potenziale per l’adesione all’Ue ma, si capisce bene dalla nota del Pe, il percorso verso l’integrazione europea è ancora in corso e richiede ulteriori riforme e grandi sforzi da parte del Paese.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.