Periferie più giuste, il dossier 2023 di Legambiente
Negli anni ’70, con l’esplosione dei conflitti sociali e la crescita incontrollata delle città, la periferia ha iniziato a essere associata allo spazio del degrado e del disagio. Quindi, alla dimensione geografica si è sovrapposta la condizione di problematicità. Questo ha creato un’immagine collettiva della periferia come luogo di marginalità e difficoltà.
Negli ultimi decenni, la distinzione tra “interno” ed “esterno” delle città si è erosa sempre di più, e ci sono state due principali approcci all’idea di periferia. Il primo approccio generalizza il concetto di periferia, considerando tutto come periferia, affermando che le periferie tradizionali si sono estinte. Questo approccio è influenzato dalla teoria dell'”urban age,” che considera la maggior parte della popolazione mondiale vivere in città.
Il secondo approccio si concentra sui fattori di urbanizzazione, considerando la forma della periferia solo successivamente. In questo modo, si affrontano problemi conosciuti come la domanda di alloggi, i flussi migratori e la trasformazione delle aree urbane, ma lo si fa prendendo in considerazione la varietà di situazioni periferiche.
Oggi, la periferia sembra essere di nuovo al centro dell’attenzione, ma la sua definizione è diventata complessa e sfuggente. La perifericità non è più limitata alla rappresentazione territoriale ma assume una molteplicità di aspetti all’interno dell’urbano. Pertanto, diventa cruciale identificare e definire i vari frammenti che compongono lo spazio periferico contemporaneo.
In questa fase storica, l’urbanistica deve affrontare la sfida di ridefinire il concetto di periferia prima ancora di determinarne la collocazione spaziale. La periferia è diventata un elemento onnicomprensivo dell’urbano contemporaneo, e la sua comprensione richiede un nuovo approccio esplorativo e una classificazione dei diversi tipi di periferie. Solo attraverso questa nuova prospettiva sarà possibile sviluppare adeguati strumenti di governo per gestire la complessità delle periferie nell’urbano del XXI secolo.
La rigenerazione urbana è un processo complesso che va oltre la semplice riqualificazione fisica delle città
Questo concetto è stato a lungo discusso e analizzato, ed è ormai chiaro che per rigenerare con successo un territorio occorre prendere in considerazione una serie di aspetti multidimensionali. La rigenerazione non riguarda solo la riparazione di edifici e infrastrutture, ma anche la creazione di nuove opportunità e capacità sia per i territori stessi che per le comunità che li abitano. Pertanto, oltre alle modifiche fisiche, le politiche di rigenerazione urbana dovrebbero concentrarsi sul miglioramento dei servizi, che svolgono un ruolo fondamentale nel determinare la qualità della vita e il riconoscimento dei diritti dei cittadini.
Istruzione, salute, servizi sociali e molto altro
Nel contesto della rigenerazione urbana, è essenziale investire in servizi chiave come l’istruzione, la salute, i servizi sociali, l’edilizia, l’accessibilità, la mobilità, la connessione digitale e i servizi culturali. Questi settori sono cruciali per migliorare la vita nelle aree urbane e per garantire un’effettiva partecipazione dei cittadini alla vita sociale ed economica. La mancanza di questi servizi è spesso alla base della marginalizzazione di vaste aree urbane e delle molte periferie, che oggi non sono più identificate solo dalla loro posizione geografica rispetto al “centro”, ma piuttosto dalle condizioni di vita che offrono ai loro abitanti.
Le azioni immateriali
Per affrontare questa sfida, è necessario investire non solo nella costruzione e nell’ampliamento di infrastrutture fisiche ma anche nelle azioni immateriali. Queste azioni immateriali sono fondamentali per rendere i luoghi più vivibili ed attrattivi, aprendo nuove opportunità di vita e lavoro. Pertanto, è essenziale migliorare l’offerta di servizi e concentrarsi sul concetto di “empowerment”, che significa dare alle persone e alle comunità la capacità di influenzare le decisioni che li riguardano. Senza servizi di qualità e il pieno riconoscimento dei diritti dei cittadini, nessuna azione di rigenerazione può avere successo.
La rigenerazione urbana non riguarda solo gli edifici e i servizi, ma anche lo sviluppo economico locale. Questo include il supporto al commercio locale, che migliora la qualità della vita nei quartieri, nonché la promozione di nuove attività economiche che possono sfruttare appieno il potenziale delle aree urbane. È anche importante lavorare sulla costruzione di un senso di identità e appartenenza a questi luoghi, superando gli stereotipi che li condannano e vanificano gli sforzi di rigenerazione.
Le disuguaglianze
Le disuguaglianze nelle aree urbane possono assumere diverse forme, tra cui disuguaglianze economiche, sociali, ambientali e di riconoscimento. Queste forme di disuguaglianza spesso si influenzano reciprocamente, creando un ciclo che si autoalimenta. È fondamentale affrontare queste disuguaglianze con una prospettiva sistemica che superi la mera lotta contro il degrado e tenga conto delle molteplici condizioni di esclusione e marginalità che contribuiscono a queste disuguaglianze.
Le politiche di rigenerazione urbana devono anche coinvolgere attivamente le comunità locali e considerare i cittadini come attori chiave nella definizione e nell’attuazione di tali politiche. Questo coinvolgimento è essenziale per mobilitare tutte le risorse disponibili e garantire l’efficacia e la sostenibilità delle politiche nel tempo. Inoltre, è importante costruire alleanze tra le parti interessate locali, coinvolgendo attivamente le comunità e le organizzazioni della società civile.
Molti progetti e iniziative di successo dimostrano che è possibile coniugare questi obiettivi. Queste iniziative spesso si basano sulla cura del patrimonio comune, sulla promozione della qualità dell’abitare e sull’affrontare la povertà energetica. La pandemia ha anche sollecitato nuove iniziative, come le “officine municipali”, che consentono il lavoro a distanza e riducono la domanda di mobilità.
È necessaria una visione strategica
Tuttavia, affinché queste politiche abbiano successo, è fondamentale superare l’approccio basato su progetti separati e temporanei. È necessario sviluppare politiche a lungo termine basate su una visione strategica. Questa visione dovrebbe emergere da un confronto tra le direzioni nazionali e le aspirazioni locali, coinvolgendo le comunità, le organizzazioni attive nella società civile e le competenze delle università.
La raccolta e la condivisione del sapere sono essenziali per prendere decisioni basate su dati e per governare i conflitti che possono emergere tra diversi punti di vista
Sia le istituzioni pubbliche che le organizzazioni della società civile devono lavorare insieme per promuovere politiche di rigenerazione urbana efficaci e sostenibili nel tempo. Questo richiede un impegno comune nella costruzione di una visione strategica, nel coordinamento tra le diverse iniziative e nell’adozione di politiche a medio e lungo termine che garantiscano la continuità dell’intervento. Solo attraverso un approccio sistemico e collaborativo si potranno affrontare con successo le sfide della rigenerazione urbana e creare città più vivibili, inclusive e sostenibili per tutti.
Una fase di rapidi cambiamenti
Siamo in una fase di rapidi e drammatici cambiamenti. Questa epoca richiede con urgenza una “rivoluzione culturale” che ci permetta di esplicitare i valori condivisi che orienteranno il nostro cammino in un mondo che vive la trasformazione, dalle dimensioni locali a quelle europee e globali. Questa rivoluzione culturale è fondamentale per radicare e sostenere percorsi di innovazione sociale, che saranno essenziali per affrontare le sfide che ci attendono.
Disuguaglianze difficilmente misurabili
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a una crescente evoluzione delle disuguaglianze sociali e della crisi climatica. Questi due fenomeni, in costante crescita esponenziale, rappresentano il fulcro dell’intreccio tra giustizia ambientale e sociale. Le disuguaglianze non sono più limitate alla sfera economica; oggi, sono pervasive e influenzano tutti gli aspetti della vita sociale e individuale.
Non possiamo più concentrarci esclusivamente sulla disparità tra ricchezza e povertà, né considerare solo la distanza tra chi possiede molto e chi ha molto poco. Vi sono disuguaglianze difficili da misurare che influiscono pesantemente sulla vita delle persone e sulla coesione sociale: disuguaglianze di genere e generazionali, culturali e di istruzione, territoriali e ambientali, ricchezza comune e riconoscimento. Spesso queste disuguaglianze non ricevono l’attenzione che meritano da parte della politica e dei media, a meno che non emergano in tragedie o eventi di cronaca.
Il deterioramento sociale
Questo deterioramento sociale si è abbattuto con forza sulla crisi climatica. Anche se alcuni esperti avevano previsto questa sfida, non può alleviare il nostro compito attuale. La risposta alla crisi climatica deve coinvolgere tutti, senza lasciare indietro nessuno. Come ci ricorda Don Bruno Bignami, non possiamo permetterci di rimandare sine die la transizione ecologica. Questa strada è obbligata, e non possiamo semplicemente ripetere ciò che è stato fatto finora.
Antiche emergenze e nuovi divari
Non basta. Alle sfide tradizionali si aggiungono nuovi divari, sia ambientali che sociali, che rendono la vita delle persone ancora più difficile. Un esempio lampante è la crisi energetica e l’aumento della povertà energetica. Se la transizione ecologica non tiene conto dei bisogni e delle fragilità delle fasce più vulnerabili, queste stesse fasce saranno portate a opporsi a tale transizione, come dimostra la propaganda delle destre europee. Sfruttando le paure e l’insicurezza generate dalla velocità con cui sta avanzando la crisi climatica e la necessità di cambiamento, cercano di accaparrarsi il voto popolare.
Le fragilità si concentrano nelle periferie
Affrontare la sfida della Giusta Transizione Ecologica richiede l’attenzione alle fragilità e ai bisogni delle persone, ed è per questo che è giusto iniziare dalle periferie urbane. Questi luoghi mettono in luce in modo evidente l’inefficacia di una rigenerazione esclusivamente fisica. Le periferie urbane sono l’epicentro di molte forme di disuguaglianza che influenzano profondamente la vita delle persone e minano il senso di comunità. Qui si intersecano questioni legate all’accesso alla ricchezza comune, alla questione abitativa, alla rigenerazione degli spazi pubblici, alla lotta contro la povertà energetica, alla povertà educativa e ai diritti di cittadinanza negati, ai rischi ambientali e alla maggiore vulnerabilità alla crisi climatica.
I conflitti tra gli ultimi
Queste disuguaglianze sono exacerbate dalla mancanza di attenzione verso i luoghi che questo modello di sviluppo ha promosso. Questa inattenzione ha generato nuovi conflitti tra gli ultimi, i penultimi e i vulnerabili. È evidente oggi che i luoghi che non ricevono attenzione generano frustrazione e rabbia tra le persone che li abitano, e solo in rari casi questa frustrazione si trasforma in orgoglio e senso di appartenenza.
Per affrontare queste sfide, è fondamentale sviluppare progetti sulla povertà educativa che vadano oltre la buona volontà di singole scuole o enti pubblici, e che invece si basino su un disegno complessivo di patti educativi di comunità. Solo attraverso un impegno collettivo e una visione ampia potremo affrontare efficacemente le complesse sfide del nostro tempo.
Le disattenzioni nei confronti delle donne
Le città sono i luoghi dove le vite delle persone si intrecciano, dove si intrecciano le diverse dimensioni della società e dell’ambiente. Tuttavia, è evidente che molte persone, in particolare le donne e coloro che sono stati trascurati finora nelle considerazioni urbane, hanno vissuto una crescente disattenzione. Questa disattenzione ha portato a forme nuove e drammatiche di disuguaglianza, creando un’urgenza per una rivoluzione culturale che affronti queste sfide.
Città ad emissioni zero e la necessità di una strategia nazionale
Un importante asse di azione è rappresentato dalla transizione verso città a emissioni zero. Questa prospettiva rappresenta un obiettivo concreto e realistico verso il quale le città italiane devono concentrare i propri sforzi. Tuttavia, questo impegno richiede anche una strategia nazionale coerente per garantire il successo di questa transizione.
Riqualificazione urbana e sociale
Un altro ambito di azione è quello della ricchezza comune. Questo concetto rappresenta un terreno trasversale, in cui la prossimità ai servizi sociali, sanitari, culturali e di istruzione si unisce alla riqualificazione degli spazi pubblici e del verde. La mobilità efficiente e sostenibile garantisce la qualità della vita in case dignitose, mentre l’accesso all’innovazione tecnologica diventa un bene comune. Gli spazi di socializzazione diventano vitali luoghi di consolidamento delle relazioni fiduciarie nella comunità.
La costruzione della comunità locale
La vera chiave del successo delle periferie urbane come luoghi in cui è possibile vivere bene risiede nella costruzione del senso di comunità locale. La fiducia e le relazioni solide dovrebbero essere la norma e non l’eccezione. Questo richiede uno sforzo collettivo e una visione ampia.
L’effervescenza sociale e l’esigenza di fare sistema
In Italia, abbiamo assistito a una notevole ricchezza di esperienze sociali, un vero e proprio fermento di iniziative che potremmo definire “effervescenza sociale”. Tuttavia, queste iniziative non sono state in grado di costituire un sistema armonico e spesso sono rimaste confinate ai propri spazi e successi, senza riuscire a stabilizzare l’innovazione sociale o influenzare le politiche pubbliche. Questo rappresenta una lacuna significativa se vogliamo costruire una transizione ecologica basata su principi di giustizia ambientale e sociale. Ci insegna anche che l’azione individuale non è sufficiente; è necessaria la cooperazione, la collaborazione tra competenze diverse e la convergenza di visioni di sistema.
La transizione ecologica come processo sociale
La transizione ecologica non è semplicemente una questione tecnologica; coinvolge la società e le persone. È un processo che riguarda la qualità della vita, la dignità e la sicurezza delle persone. Pertanto, il successo della giusta transizione ecologica nelle periferie urbane richiede progressi significativi in quattro ambiti chiave, rappresentati dalle quattro “C”: condizioni fisiche del quartiere, casa, contesto (sociale, culturale, ambientale), comunità.
Negli anni passati, c’era la richiesta di modificare il modello di sviluppo. Oggi, questa richiesta è diventata sempre più insistente, con alcune voci che invocano addirittura la necessità di rovesciare completamente il paradigma. Si parla di una possibile metamorfosi del sistema sociale ed economico. È chiaro che cresce la percezione che l’attuale modello di sviluppo stia portando il pianeta sull’orlo dell’autodistruzione e crei disuguaglianze inaccettabili, sia all’interno dei singoli paesi che tra le nazioni. La massimizzazione dei profitti e la tutela delle rendite finanziarie sembrano essere gli unici criteri che guidano le scelte delle grandi multinazionali, mentre il sistema politico sembra incapace di proporre modelli alternativi, limitandosi a interventi di contenimento.
In questo contesto, è evidente che la transizione ecologica rappresenta non solo una sfida tecnologica ma un’opportunità per riscrivere il futuro del nostro pianeta e porre fine alle disuguaglianze sistemiche. La transizione ecologica richiede una profonda riflessione sui nostri valori condivisi, sulla nostra cultura e sulla nostra visione di una società più giusta ed equa. Solo attraverso una collaborazione sistematica e una visione condivisa possiamo sperare di raggiungere questo obiettivo e salvare il nostro pianeta per le future generazioni.
Le disuguaglianze come ostacolo allo sviluppo
In un mondo che sta vivendo una crescita economica senza precedenti, paradossalmente, le disuguaglianze, la povertà, la segregazione sociale e l’accelerazione dei cambiamenti climatici continuano a costituire ostacoli significativi per lo sviluppo sostenibile. Questo è un concetto che rimane nonostante le evidenze ormai incontrovertibili. Nel modello tradizionale di sviluppo, le questioni sociali e ambientali sono state spesso considerate come dei veri e propri freni al progresso. Il sistema di welfare che è stato sviluppato, sebbene abbia contribuito a fornire un supporto essenziale, è rimasto in gran parte di natura risarcitoria. Questo significa che si è intervenuti per rimediare ai danni provocati dalla crescita economica, invece di prevenirli in primo luogo.
La disuguaglianza come prodotto del sistema capitalistico
La constatazione che il sistema capitalistico “naturale” produca disuguaglianze ha portato alla creazione dello Stato fiscale, un’entità che si è dedicata a reperire risorse pubbliche per “rimediare” alle disuguaglianze scaturite dalla crescita economica. Tuttavia, nonostante gli sforzi, questo approccio ha portato a una situazione in cui le disuguaglianze persistono ancora oggi. Ci troviamo ancora in un sistema che ritiene normale intervenire sul fronte sociale solo “dopo” aver raggiunto un certo livello di crescita economica.
La tutela ambientale come ostacolo
Anche le questioni ambientali si inseriscono in questo schema. La protezione dell’ambiente è spesso vista come un ostacolo allo sviluppo economico. Quando si pianificano nuove imprese o grandi infrastrutture, si tiene conto delle restrizioni ambientali che verranno applicate in seguito. Tuttavia, questo atteggiamento deve cambiare radicalmente. È necessaria una rivoluzione culturale che metta il benessere delle persone e la salvaguardia dell’ambiente al centro dello sviluppo economico.
Integrare il sociale e l’ambiente
Per superare queste sfide, è essenziale abbandonare la separazione concettuale e politica tra il sociale e l’ambiente. Mentre nel dibattito pubblico prevale spesso l’idea di sostenibilità ambientale, non dobbiamo trascurare la sostenibilità sociale. È fondamentale comprendere che queste due dimensioni sono strettamente interconnesse e che il raggiungimento della sostenibilità richiede un equilibrio tra entrambe. Organizzazioni come Legambiente hanno dimostrato che è possibile lavorare su progetti che integrano l’ambiente come parte integrante dell’inclusione sociale.
Sviluppo attraverso l’impegno sociale e ambientale
Per affrontare le disuguaglianze e promuovere lo sviluppo sostenibile, è fondamentale comprendere che non possiamo attendere di accumulare risorse prima di intervenire nelle aree più vulnerabili e svantaggiate della società. Dobbiamo lavorare con le persone vulnerabili, nelle periferie e nei territori degradati, per sviluppare iniziative che promuovano l’inclusione sociale e la tutela dell’ambiente. Questo richiede un cambiamento nel rapporto tra settore pubblico e privato sociale. Non è più sufficiente un approccio in cui il settore pubblico incoraggia il settore privato sociale a condurre esperimenti occasionali per introdurre innovazioni limitate nelle politiche pubbliche.
In conclusione, le disuguaglianze sociali e le questioni ambientali non sono ostacoli insormontabili per lo sviluppo, ma sfide che richiedono un approccio integrato e una visione olistica. Solo attraverso un impegno congiunto nel sociale e nell’ambiente possiamo sperare di costruire un futuro sostenibile e prospero per tutti.
La transizione ecologica è vista come la somma dei mali
La questione della transizione ecologica rappresenta una sfida cruciale per la società contemporanea. Mentre il dibattito su questo tema è dominato da considerazioni ambientali, economiche e politiche, spesso si trascura un aspetto fondamentale: l’impatto della transizione ecologica sulle fasce più vulnerabili della popolazione. Questo articolo esplorerà come la transizione ecologica può essere percepita come la somma dei mali da parte di coloro che lottano con la povertà e come, in realtà, dovrebbe essere vista come un’opportunità di trasformazione positiva per l’intera società.
La sfida dell’equità nella transizione ecologica
La transizione ecologica implica una serie di cambiamenti nelle abitudini di consumo, nelle pratiche industriali e nella produzione di energia al fine di ridurre l’impatto ambientale e combattere il cambiamento climatico. Questi cambiamenti includono l’adozione di veicoli a basse emissioni, l’uso di energie rinnovabili, l’acquisto di prodotti biologici e il riciclo dei materiali. Tuttavia, per le famiglie a basso reddito, questi cambiamenti possono sembrare fuori dalla loro portata a causa dei costi aggiuntivi associati. La domanda sorge spontanea: perché dovrebbero sostenere con entusiasmo scelte che sembrano essere fatte solo per coloro che possono permetterselo?
La narrazione distorta della transizione ecologica come “bagno di sangue”
Questa percezione della transizione ecologica come una serie di sacrifici finanziari può essere vista come una narrazione distorta della realtà. Al contrario, il vero male sta nel rimandare indefinitamente la transizione ecologica. L’Italia, ad esempio, dipende ancora in gran parte dalle fonti di energia non rinnovabili. La recente crisi del gas, innescata dall’invasione russa in Ucraina, ha dimostrato quanto sia vulnerabile il paese alle fluttuazioni dei prezzi delle fonti energetiche fossili. Se le imprese e le famiglie fossero state sostenute nella transizione alle energie rinnovabili, la situazione potrebbe essere stata molto diversa. Inoltre, la transizione ecologica potrebbe aprire la strada a modelli di agricoltura e industria più sostenibili, favorendo la biodiversità e il riciclo dei materiali, con un impatto positivo sull’occupazione e sul benessere delle famiglie.
La visione dell’ecologia integrale
L’ecologia integrale promuove una visione della transizione ecologica che non escluda nessuno. Un esempio emblematico è rappresentato dalle comunità energetiche rinnovabili (CER), che coinvolgono tutti i consumatori nella gestione responsabile dell’energia. Questo approccio non solo favorisce fonti energetiche pulite ma può anche contribuire a combattere la povertà energetica che colpisce milioni di italiani.
Essere cittadini nelle periferie: presidio e partecipazione
Il concetto di cittadinanza nelle periferie rappresenta un aspetto critico in questa discussione. Spesso, le periferie sono viste come luoghi di disuguaglianza estrema, con standard di vita bassi e carenze nei servizi di base. Tuttavia, l’approccio “per le periferie” dovrebbe mirare a portare servizi essenziali, dignità e presenza dello Stato in queste comunità. Questi sforzi contribuiscono non solo a migliorare la vita delle persone, ma anche a educare alla cittadinanza e alla gestione di beni comuni.
Il caso delle periferie in Italia
In Italia, il problema delle periferie non è un fenomeno isolato. Molte grandi città europee hanno affrontato sfide simili in passato. Paesi come Francia, Inghilterra e Germania hanno avviato politiche di riqualificazione delle periferie, cercando di superare la contrapposizione tra il centro urbano prospero e le periferie svantaggiate. Questi sforzi si sono concentrati sulla creazione di città più policentriche, dove le periferie diventano un elemento centrale della vita urbana.
La de-urbanizzazione e il futuro delle città
Un elemento chiave in questa trasformazione è stato il passaggio dalla città industriale del passato a una città basata sui servizi e sulla qualità della vita. Questo cambiamento è stato evidente anche in Italia dagli anni ’90, quando le politiche pubbliche hanno iniziato a focalizzarsi sulla riqualificazione delle periferie e sulla promozione della qualità urbana.
In conclusione, la transizione ecologica non dovrebbe essere vista come una somma di mali, ma piuttosto come un’opportunità per migliorare la vita delle persone, ridurre l’ineguaglianza e costruire comunità più forti e sostenibili. L’equità dovrebbe essere al centro di questa transizione, garantendo che nessuno venga lasciato indietro. Inoltre, investire nelle periferie e coinvolgere i cittadini in queste trasformazioni è essenziale per costruire una società più giusta e inclusiva. La lezione dalle esperienze di altri paesi europei è che le periferie possono diventare il fulcro della città di domani, se affrontiamo questa sfida con determinazione e impegno.
Gli interventi di riqualificazione: un’analisi dei principali strumenti
Nel corso degli ultimi trent’anni, l’Italia ha affrontato il complesso problema della riqualificazione delle periferie urbane. Questi territori spesso caratterizzati da degrado fisico, carenza di servizi, e disagio abitativo richiedono soluzioni integrate per migliorare la qualità della vita dei residenti. In questo articolo, esamineremo tre dei principali strumenti utilizzati per affrontare questa sfida: i Contratti di Quartiere, il Bando Periferie e i PINQUA.
I Contratti di Quartiere: integrazione e coinvolgimento locale
I Contratti di Quartiere sono stati uno dei primi strumenti innovativi adottati in Italia per affrontare la riqualificazione delle periferie urbane. Questi programmi integrati miravano a promuovere lo sviluppo sociale, economico e occupazionale in aree segnate dal degrado. Gli interventi prevedevano il coinvolgimento di diversi attori, tra cui Comuni, Regioni, Stato e il settore privato, con un’enfasi particolare sul coinvolgimento diretto dei residenti.
Tuttavia, i primi Contratti di Quartiere presentavano una limitazione significativa. Le risorse stanziate erano principalmente destinate a interventi edilizi e di urbanizzazione, trascurando gli aspetti sociali, che spesso dovevano essere finanziati dai Comuni e dai privati. Questa carenza ha limitato la portata degli interventi e la loro efficacia nel promuovere la riqualificazione sociale.
Le risorse a disposizione: limiti finanziari
Le risorse complessive disponibili per i Contratti di Quartiere ammontavano a circa 2 miliardi di euro, distribuiti in un arco temporale di vent’anni. Nonostante gli sforzi, questo budget limitato ha rappresentato un ostacolo significativo per la realizzazione di una politica di riqualificazione strutturale per le periferie italiane.
Il Bando Periferie: risposta agli attentati e sfide
Il Bando Periferie è emerso come risposta a una serie di attentati terroristici di matrice islamista nelle grandi città europee. Questi attacchi hanno evidenziato le sfide legate alle periferie urbane e al disagio sociale. Il bando aveva l’obiettivo di affrontare il degrado fisico, la marginalità economica e sociale e la carenza di servizi nelle periferie italiane.
Tuttavia, anche il Bando Periferie ha presentato alcune sfide. La definizione delle periferie è stata allargata per includere anche le cosiddette “periferie funzionali” nelle aree centrali, il che ha portato a una competizione tra le diverse aree degradate. Inoltre, il bando non ha previsto criteri di disagio sociale o edilizio per l’individuazione delle periferie, il che ha reso l’assegnazione dei finanziamenti piuttosto aleatoria.
La predominanza degli interventi fisici: un approccio limitato
Un’altra sfida significativa è stata la predominanza degli interventi esclusivamente fisici rispetto a quelli sociali. Circa il 73% degli interventi realizzati era di natura edilizia, mentre solo il 27% comprendeva anche azioni d’inclusione sociale. Spesso queste azioni sociali non erano supportate da un adeguato finanziamento, riducendo l’efficacia complessiva degli interventi.
In conclusione, la riqualificazione delle periferie italiane rimane una sfida complessa. Nonostante gli sforzi e l’adozione di diversi strumenti, i limiti finanziari, la mancanza di coinvolgimento dei cittadini nella definizione degli interventi e l’accento sui soli aspetti fisici hanno ostacolato una vera trasformazione sociale delle periferie. Per affrontare questa sfida in modo più efficace, potrebbe essere necessario adottare un approccio più integrato, includere un coinvolgimento significativo dei residenti e garantire un finanziamento adeguato per le azioni sociali. Solo attraverso un approccio complesso e a lungo termine sarà possibile affrontare con successo il problema della riqualificazione delle periferie urbane italiane.
PINQuA: Il futuro delle politiche urbane in Italia
Nel luglio 2021, l’approvazione definitiva da parte della Commissione Europea del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha portato una ventata di speranza nell’ambito delle politiche urbane in Italia. Il PNRR ha assegnato al Programma Integrato Nazionale per la Qualità Urbana e Ambientale (PINQuA) una dotazione finanziaria iniziale di 2.8 miliardi di Euro, un investimento ambizioso che prometteva di trasformare le periferie italiane e migliorare la qualità della vita nei quartieri più svantaggiati.
Tuttavia, il PNRR ha portato con sé non solo un incremento finanziario significativo ma anche una nuova prospettiva nelle politiche urbane italiane. Nel Decreto Interministeriale 395 del settembre 2020, per la prima volta, sono state introdotte espressioni come “senza nuovo consumo di suolo”, “processi di rigenerazione di ambiti urbani”, “specifica e definita strategia”, “incremento dei legami di vicinato e inclusione sociale”, e “rigenerazione del tessuto socioeconomico”. Queste nuove direttive hanno creato un’aspettativa di una vera rivoluzione nelle politiche pubbliche.
Le sfide del PINQuA
Nonostante le promesse e le iniziali speranze, il PINQuA ha dovuto fare i conti con una serie di sfide e ritardi che hanno messo in evidenza la mancanza di una cultura dell’intervento integrato, multidimensionale e transdisciplinare in Italia. Un aspetto cruciale è emerso quando i progettisti dei PINQuA si sono trovati a dover affrontare la questione delle risorse per la copertura finanziaria delle azioni immateriali previste nei progetti. Il Decreto 395/2020 ha dichiarato che i progetti devono essere realizzati attraverso interventi e misure coerenti tra loro e in grado di perseguire obiettivi chiari. Tuttavia, le spese di gestione, incluse attività come l’organizzazione di laboratori permanenti o gruppi di autogestione, non sono state considerate azioni ammissibili.
Questo paradosso ha rivelato la mancanza di flessibilità nella disciplina attuativa, che non ha permesso le innovazioni auspicate. E questo è solo uno dei sintomi di un ritardo culturale che affligge l’Italia in ambito urbanistico.
Un altro problema rilevante riguarda l’approccio alle politiche abitative, ancora ancorate a un’idea tradizionale di redistribuzione del reddito attraverso la “riqualificazione” dell’esistente anziché la creazione di nuovi quartieri. Questo approccio ha spesso trascurato le esigenze delle comunità locali e ha mancato l’obiettivo di migliorare la qualità della vita. La redistribuzione del reddito, sebbene condivisibile, spesso non è riuscita a evitare il disagio sociale, la marginalità e l’esclusione.
Mettere al centro i cittadini
Una possibile soluzione a questa contraddizione potrebbe essere quella di mettere al centro delle politiche urbane la comunità attiva, coinvolgendo direttamente gli abitanti nelle decisioni che riguardano il loro territorio. Questo approccio favorirebbe la creazione di una qualità condivisa, elaborata con il contributo della comunità stessa. È un cambio di prospettiva che potrebbe trasformare l’urbanistica in un processo collaborativo, dove la comunità partecipa attivamente alla definizione del proprio futuro.
Anche la questione del consumo di suolo richiede un approccio più flessibile e partecipativo. La densificazione può essere una soluzione valida in molte situazioni, ma deve essere valutata caso per caso, coinvolgendo la comunità e gli attori locali nella decisione.
Il PINQuA, nonostante le sfide e le criticità, rappresenta un passo in avanti nelle politiche urbane italiane. Ha introdotto il concetto di rigenerazione urbana come strategia progettuale sistemica e ha posto l’accento sull’importanza di coinvolgere la comunità nelle decisioni che riguardano il proprio territorio. Tuttavia, per far sì che questa visione diventi realtà, è necessario un cambiamento culturale e una politica pubblica che sostenga gli investimenti necessari per trasformare le nostre città, a partire dalle periferie.
Bibliografia:
http://www.programmaurbano.it/attachments/article/118/A1Periferia.pdf
https://www.nooneout.org/images/2022/PERIFERIE_AL_CENTRO_def_02_2021.pdf
https://www.beniculturali.it/comunicato/franceschini-sfida-di-questo-secolo-e-riqualificare-le-periferie
https://www.istat.it/it/files/2017/05/Urbanizzazione.pdf
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