Giunto alla 50ª edizione, il Rapporto Censis è stato presentato a Roma il 2 dicembre 2016.
Emerge una forte crescita del sommerso non più pre-industriale ma del post-terziario.
In questi giorni di strategie post referendarie rese dei conti e vendette trasversali, abbiamo pensato che dedicare un po’ di tempo alle statistiche, sarebbe stato utile per capire cosa sta succedendo nel Paese. Ci rendiamo conto che la lettura non è facile, forse noiosa, ma un piccolo sforzo va fatto se vogliamo veramente capire dove siamo e dove stiamo andando.
Viviamo alla giornata metabolizzando le informazioni che arrivano dall’esterno. Il debito personale si consolida sul lungo termine e cerchiamo di tamponare le falle che quotidianamente si aprono. In sostanza facciamo debiti per soddisfare esigenze primarie. In una società a cui manca un preciso orientamento di sviluppo, crescono figure lavorative instabili, poco qualificate e con scarsa aspettativa di durata nel tempo.
Nel Rapporto si legge che le aspettative degli italiani sono negative. Infatti il 61,4% è convinto che il proprio reddito non aumenterà negli anni a venire e il 57% ritiene che i figli i non vivranno meglio di loro. Lo pensa anche il 60,2% dei benestanti che teme il riposizionamento aziendale in termini di occupazione (downsizing) . Il 63,7% è convinto che, dopo anni di consumi contratti, l’esito inevitabile sarà una riduzione del tenore di vita. Solo il 22% è portato a fare investimenti nel lungo termine ma il 56,7% vuole potenziare i propri risparmi e tagliare ancora le spese ordinarie per la casa e l’alimentazione . Rispetto al 2007, gli italiani hanno accumulato liquidità per 114,3 miliardi di euro, un valore superiore al Pil di un Paese intero come l’Ungheria.
Quasi il 36% degli italiani tiene regolarmente contante in casa per le emergenze e, soprattutto per un fatto di sicurezza (sfiducia nelle banche?), ma se potessero disporre di risorse aggiuntive, il 34,2% degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza. Emerge un Paese che utilizza le proprie risorse senza un progetto definito per il futuro, con il rischio di svendere a pezzo per pezzo i beni di famiglia.
Figli più poveri dei nonni
Rispetto alla media della popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%. Nel confronto con venticinque anni fa, i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di allora, mentre per gli over 65 anni è invece aumentato del 24,3%. La ricchezza dei nati nel nuovo millennio è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei dei primi anni ‘90, mentre per gli italiani presi nel loro insieme, il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani è maggiore addirittura dell’84,7%.
“Il divario tra i giovani e il resto dei cittadini si è ampliato, poiché venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9%, mentre oggi sono inferiori del 15,1%. La ricchezza familiare dei giovani di allora era inferiore del 18,5% rispetto alla media, mentre oggi lo è del 41,1%”.
Disoccupati di lungo periodo
Tra il 2013 e il 2015 c’è stato il recupero di 274.000 occupati. Nel primo semestre del 2016 l’andamento dell’occupazione è ancora positivo, con una variazione pari a +1,5% rispetto allo stesso semestre del 2015. Nel periodo gennaio-agosto 2016, inoltre, il contratto a tempo indeterminato è stato utilizzato nel 21,3% dei rapporti di lavoro attivati (nel 2015 la quota era molto più alta: 32,4%). I contratti a termine sono il 63,1% del totale. L’innovazione normativa (decontribuzione e Jobs Act con i contratti a tutele crescenti) ha quindi fatto fibrillare il mercato del lavoro.
Boom dei voucher: 277 milioni di contratti stipulati tra il 2008 e il 2015 (1.380.000 lavoratori coinvolti, con una media di 83 contratti per persona nel 2015) e 70 milioni di nuovi voucher emessi nei primi sei mesi del 2016. È il segnale che la forte domanda di flessibilità e l’abbattimento dei costi stanno alimentando l’area delle professioni non qualificate e del mercato dei «lavoretti».
Alla nuova occupazione creata ha infatti corrisposto una bassa crescita economica: nuovi occupati, dall’inizio del 2015, sono associati a una produzione di ricchezza di soli 9.100 euro pro-capite.
La produttività si è ridotta da 16.949 euro per occupato (I trimestre 2015) a 16.812 euro (II trimestre 2016). Se la produttività fosse rimasta costante, nell’ultimo anno e mezzo il Pil sarebbe cresciuto complessivamente dell’1,8% e non solo dello 0,9% come invece abbiamo registrato.
fp
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.