“Mi sono reso conto che era tutto finito quando il Generale Dozier fu fatto prigioniero e torturato”.
Questo mi disse Renato Curcio in Piazza Matteotti molti anni dopo aver scontato quasi 30 anni di galera. E al tempo trovai questa sua affermazione una semplificazione estrema.
Probabilmente, le Brigate Rosse, viste da una sua conoscenza interna, avevano raggiunto il culmine del fallimento in quello specifico frangente.
Non ribattei perché consideravo la fonte più che attendibile rispetto alle mie conoscenze di allora.
Oggi leggo questo scarno ma esaustivo comunicato stampa che ci informa dell’identificazione di 4 persone e della ricerca di una quinta, rei di aver imbrattato i muri in Salita Santa Brigida con frasi ingiuriose nei confronti di Guido Rossa e del giornalista Marco Peschiera.
Non ho ancora fatto pace con quel periodo che, vissuto da studente delle superiori prima e da universitario poi, era caratterizzato da una domanda che mi facevo tutte le mattine: “Chi morirà oggi”?
E poi gli “allarme bomba” sempre a vuoto, fortunatamente, che arrivavano alla segreteria del Liceo, e che spesso erano frutto della paura di qualche studente alle prese con un compito difficile e poca voglia di studiare.
Oggi ripercorro quei momenti macabri, fatti di omicidi “di destra e di sinistra”, e mi stupisco dell’entusiasmo con cui progettavamo il nostro futuro attraverso così tanto sangue.
E non avevamo l’ammortizzatore cerebrale dei social. Gli scioperi, gli schiaffi, gli insulti, il bullismo politico lo subivi sulla pelle e aiutava a diventare grandi.
Le stragi, gli attentati, le ipotesi sui colpevoli discusse in assemblee troppo affollate perché ci fosse pluralità. Ma se stavi zitto entravi di diritto nella vituperata “maggioranza silenziosa”. Insomma la fissazione di dare patenti, e spesso di darsele, è trasversale rispetto ai tempi.
I maglioncini di Berti di chi invitava gli studenti ad aderire al progetto della FGCI, le Saxone di chi usciva dall’Istituto Arecco e l’Eskimo di chi voleva fare la rivoluzione e poi è finito a lavorare con il padre notaio.
In divisa, come succede anche oggi.
L’arrivo, nell’anno della maturità, dei rampolli di famiglia che dopo aver dormito sui banchi di qualche istituto privato, venivano a sostenere l’esame in mezzo alla plebaglia.
Oggi, con noia, leggo sui social le teorie colte di tantissimi raffinati pensatori che annunciano un ritorno delle Brigate Rosse.
E mi viene in mente un pensiero del mio autore preferito, Marc Bloch, che nella sua opera incompiuta “Apologia della Storia” diceva:
“La storia è, essenzialmente, scienza del mutamento. Essa sa ed insegna che mai si ripresentano due eventi del tutto simili, poiché le condizioni non sono mai esattamente le stesse […] ammette, certo, da una civiltà all’altra, il riproporsi di taluni fenomeni che a grandi linee sembrano evolvere in una stessa direzione. E nota allora come da entrambe le parti sussistessero condizioni fondamentali simili. […] ma non per insegnarci che il passato si ripete, che ciò che era ieri sarà anche domani. esaminando come il recente passato differisca da ciò che lo ha preceduto e perché, essa trova in questo confronto la capacità di prevedere in che senso anche domani si opporrà a ieri”.
Le ” Brigate Rosse” sono un capitolo chiuso della nostra Storia, fanno parte dell’esperienza dolorosa di una nazione e verranno ricoperte dalla polvere.
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.