È passato un anno dallo scoppio della peggiore epidemia nella storia della Repubblica Democratica del Congo e la situazione preoccupa molto il personale sanitario che affronta quotidiamente le emergenze. A luglio, ogni settimana sono stati diagnosticati tra gli 80 e i 100 nuovi casi mentre a giugno c’è stato un primo paziente in Uganda, arrivato dalla RDC, mentre Goma, città di confine con un milione e mezzo di abitanti, proprio questa settimana ha registrato il decesso di un secondo caso.
Da agosto del 2018, l’Ebola ha contagiato più di 2600 persone, uccidendone circa 1700. Circa un terzo delle morti per Ebola è stato diagnosticato dopo il decesso, e passano in media sei giorni da quando si manifestano i primi sintomi a quando un paziente viene ammesso in un centro di trattamento o di transito – un periodo durante il quale le condizioni del paziente peggiorano e il virus può diffondersi contagiando altre persone. Oltre la metà dei 47 distretti sanitari in Nord Kivu e Ituri è stata colpita dall’epidemia, 18 sono considerati zone di trasmissione attiva, con nuovi casi confermati negli ultimi 21 giorni. Il 5% dei pazienti sono operatori sanitari.
È chiaro che la risposta internazionale non è ancora riuscita a contenere l’epidemia, nonostante la disponibilità di strumenti che nelle epidemie precedenti non c’erano o erano molto limitati, come i vaccini e trattamenti attualmente in fase di studio.
“Il secondo caso a Goma in una sola settimana è un dato preoccupante: il rischio in una grande città aumenta perché la densità di popolazione e le occasioni di contatto sono maggiori, come accaduto nella grande epidemia del 2014 in Africa occidentale” racconta la dott.ssa Claudia Lodesani, presidente di MSF e infettivologa con lunga esperienza di Ebola. “Questa epidemia è particolarmente complessa perché in una zona di guerra di difficile accesso. Per contenerla è urgente avviare strategie di prevenzione che ascoltino e coinvolgano i bisogni delle comunità.”
Dall’inizio dell’epidemia, l’insicurezza è stata una delle principali sfide per l’intervento. L’area nord orientale della DRC è una zona di conflitto da 25 anni, con diversi gruppi armati attivi nella zona. Inoltre, gli operatori sanitari impegnati contro l’Ebola non hanno ancora la fiducia delle comunità. Sono stati deliberatamente attaccati, e per questo attività cruciali come la ricerca e identificazione dei contatti, la verifica dei casi sospetti e le campagne di vaccinazione sono state sospese, ridotte o annullate. MSF stessa è stata costretta a lasciare Katwa e Butembo a febbraio, dopo violenti attacchi contro i centri di trattamento in cui operava.
I Centri di trattamento Ebola e i centri di transito sono impostati come un “sistema parallelo” e restano separati dal sistema sanitario a cui le persone sono abituate. Per questo vengono visti dalla popolazione come luoghi misteriosi, dove la gente va a morire dopo essere stata separata dalle proprie famiglie. Il 90% dei pazienti ricoverati quest’anno è risultato negativo al test per l’Ebola ed era affetto da altre patologie. Ma questi centri non hanno la capacità di fornire cure di qualità e personalizzate ai pazienti in attesa dei risultati del test.
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