L’emergenza Covid-19 non riguarda solo le strutture di riabilitazione ma anche le famiglie che devono farsi carico dei malati psichiatrici in casa e, in definitiva, tutti noi che siamo provati dallo stress del lockdown.
Lo ricorda Paolo Cozzaglio, primario dell’area psichiatrica del centro S.Ambrogio Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio che segue un migliaio di pazienti psichiatrici in Lombardia, che analizza i cambiamenti imposti ai centri di riabilitazione psichiatrica dall’emergenza sanitaria e l’impatto sulla società: “Ansia, panico, preoccupazioni somatiche, stati depressivi aumentano in questo periodo”, ricorda infatti l’esperto al quale abbiamo chiesto come cambiano in tempi di Covid-19 i nostri servizi psichiatrici.
“L’infezione da SARS-Cov2 (Covid-19) – spiega – è diventata rapidamente una pandemia e quindi un grave problema di salute e di ordine pubblico. In questo contesto tutta l’attenzione dei protocolli di cura, delle autorità e dei media è andata all’emergenza sanitaria, alle terapie intensive, alla rianimazione, e alla medicina d’urgenza. I ritardi nelle misure di isolamento hanno, in una prima fase e almeno fino ad oggi, distolto l’attenzione dall’effettiva prevenzione del contagio, con le catastrofiche conseguenze che ora vediamo sulle fasce più deboli della popolazione e sulle realtà comunitarie che le assistono: sicuramente le RSA, ma anche le comunità per disabili e le comunità psichiatriche.
II paziente psichiatrico è stato da sempre collocato ai margini della società civile anche come contesto ambientale – osserva -. Il filosofo e storico della scienza Michel Focault ha evidenziato bene come i manicomi fossero sempre posizionati fuori dal contesto urbano e che i luoghi prescelti coincidevano spesso con i lebbrosari. Una coincidenza significativa che ci proietta su altre grandi pandemie della storia come la lebbra e la peste”.
Emarginazione che si è verificata anche nel contesto di questa emergenza sanitaria dove “i pazienti psichiatrici e le comunità terapeutiche che li accolgono sono stati completamente dimenticati, e nessuno ne parla – sottolinea Cozzaglio -. Gli stessi DSM (dipartimenti di salute mentale) si sono mossi in modo sparso e non hanno concordato dei piani d’azione coerenti. I nostri centri di riabilitazione psichiatrica si sono dovuti ‘autogestire’ per adattare alle nostre realtà i protocolli per scongiurare e contenere il contagio, con la scarsità di rifornimento dei DPI che sappiamo bene e con l’impossibilità di effettuare i tamponi sia per gli ospiti ricoverati che per i dipendenti. Ancora oggi l’attenzione dalle autorità pubbliche nei nostri confronti è marginale“.
Per fortuna in tempi di lockdown “i pazienti psichiatrici hanno avuto un comportamento esemplare – spiega sempre Cozzaglio -. Se si eccettuano pochi casi singoli che comprensibilmente hanno mal tollerato inizialmente le restrizioni, la maggior parte dei pazienti è stata estremamente collaborativa, comprensiva e di sostegno al lavoro di medici, infermieri e personale. Quando, ben prima dei tentennamenti regionali e nazionali, siamo stati costretti a chiudere le comunità e a vietare con rammarico le visite di parenti e conoscenti, inizialmente vi sono state delle proteste, soprattutto da parte di alcuni parenti che giudicavano eccessive le nostre preoccupazioni e la nostra cautela. Ora tutti comprendono e ci ringraziano. I pazienti hanno dovuto adattarsi a riorganizzare improvvisamente le loro abitudini di vita, le più sane come le uscite all’aperto e gli incontri con le persone esterne e quelle più voluttuarie come il prendersi un caffè o frequentare un bar esterno. Per i pazienti più giovani è stato possibile mantenere la frequenza scolastica online o i contatti con l’esterno tramite il cellulare e le videochiamate: in questi casi la tecnologia è stata di grande d’aiuto“.
E in effetti Skype, Whatsapp, Zoom e altri programmi di videochat hanno dato una mano a centinaia di pazienti in Italia e “molti professionisti si sono adattati garantendo la prosecuzione delle terapie psichiatriche e psicoterapiche online“, spiega l’esperto che poi lancia l’allarme per le conseguenze che la pandemia potrebbe avere sulla psiche degli operatori sanitari: “Medici e infermieri sono sottoposti a situazioni di intenso stress e non devono sottovalutare l’impatto emotivo a lungo termine di queste sollecitazioni. Confrontarsi tra loro o con qualcuno per poter parlare delle proprie emozioni e preoccupazioni è molto utile”.
Qualche consiglio anche per chi è in quarantena: “Mantenere frequenti contatti con parenti e conoscenti è molto utile dal punto di vista psicologico, così come impegnare il proprio tempo anche in attività come la lettura. Magari è l’occasione per dedicarsi a interessi che normalmente non possono essere svolti”.
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