Rigenerazione urbana del Centro Storico, Alcozer: “Costruire sul costruito è uno slogan che non vale per un tessuto urbano così consolidato storicamente”
La necessità di rinnovamento delle città non è argomento di discussione attuale.
Già alla fine dell’800, mentre sotto l’impeto e la frenesia della crescita industriale le città si trasformavano, una residua cultura tardo romantica vedeva nel passato un rifugio alla disordinata e invadente civiltà industriale. E Genova, allora crocevia di imponenti e redditizi traffici commerciali, ha cercato da subito quelle metamorfosi necessarie per rimanere in un mercato in rapida mutazione.
Tutto il novecento è combattuto tra rinnovamento e conservazione, con fazioni contrapposte, quasi mai convergenti, concentrate sulla strenua difesa delle proprie tesi.
Gustavo Giovannoni, architetto e ingegnere, nel suo saggio del 1931 “Vecchie città ed edilizia nuova” tentò la mediazione tra conservatori e innovatori col criterio del diradamento, per consentire l’adeguamento di spazi “antichi” alle moderne necessità dettate dalla funzionalità e dalle esigenze d’igiene.
Ma il livello della discussione, dopo i bombardamenti del secondo conflitto mondiale, si spostò anche su un ulteriore confronto. Scrive Roberto Pane, architetto e storico dell’architettura: “L’antico è storico, ma non tutto ciò che è storico è antico “.
E qui si apre tutto il capitolo della difesa dell’architettura contemporanea, che però sia di riconosciuto valore.
Stessi dubbi anche per il Centro Storico.
L’espressione centro storico è divenuta una consuetudine del nostro linguaggio, ma galleggia su uno sfondo non sempre ben definito. E su questo argomento il dibattito scientifico ha posto la prima domanda dalla quale far partire ogni ragionamento. Cosa si deve intendere per centro?
Centro urbano, centro storico, ciascuno con le diverse accezioni e sfumature di significato che nelle differenti culture europee non hannola stessa valenza. Perché col nascere dei centri direzionali, soprattutto nelle grandi città, è cambiato anche il senso del termine centralità.
Non si tratta più, infatti, di discutere solo di geometrie ma anche delle attrattive in base ai servizi che vengono offerti.
E la seconda questione verte sulla datazione della “storicità”: quale è il termine temporale prima del quale c’è la storia e dopo il quale inizia la contemporaneità?
Ne parliamo con Federica Alcozer, Architetto e PhD in Progettazione urbana, territoriale e ambientale, che ci aiuta a capire innanzitutto come si potrebbe attuare il diradamento in una porzione di città “con un tessuto urbano storico consolidato” e dove la parola stessa “è pericolosissima”.
Precisa, infatti, Alcozer che la demolizione di cui si tanto si parla e si è parlato, potrebbe interessare “quegli edifici costruiti nel dopoguerra, in un momento in cui le ragioni dell’edificazione erano certamente quelle di trovare volumetrie abitative per ridare casa a chi ne aveva bisogno, e che oggi viceversa nel quadro demografico sociale e nella necessità di una riqualificazione potrebbero avere bisogno di un ripensamento, certo non sotto lo slogan del diradamento”. E certo non come gli interventi effettuati nel dopoguerra dove anche la qualità edilizia era piuttosto scarsa.
“Pensiamo a Sottoripa”, contiunua Alcozer che poi spiega: “La scelta più appropriata che è stata fatta in passato è quella di mantenere la continuità del porticato ma se oggi dovessimo demolire e ricostruire, la ricostruzione non potrebbe più superare in altezza la ripa”. E in effetti dando un’occhiata all’insieme viene da dire che vecchio e nuovo non sempre convivono pacificamente.
C’è poi la questione del “costruire sul costruito” che viene tirata in ballo anche per il Centro Storico.
“Per la città storica non vale”, commenta Alcozer precisando che “l’intento è quello di affermare e confermare una volta per tutte la necessità di costruire in ambiti in cui il consumo di suolo è già avviato e quindi evitare ulteriori sprechi. Ma questo non può riguardare un tessuto urbano così consolidato storicamente come il Centro Storico. Si può parlare semmai di rigenerazione conservativa ma tenendo sempre a mente che se gli interventi saranno solo fisici, cioè solo sugli edifici e non sul tessuto sociale, non sarà possibile raggiungere degli obiettivi reali di rigenerazione urbana”.
fp
Leggi anche
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.