“Le ragioni di una sconfitta” il libro bianco sulla gestione sanitaria del Covid in Liguria realizzato da un gruppo di professionisti genovesi.
Genova – A che punto è il tracciamento dei contagi? Come funziona l’assistenza domiciliare? La strage nelle RSA si poteva evitare? Quante sono le morti indebite? Sono solo alcune delle domande alle quali un gruppo di cittadini genovesi ha cercato di dare una risposta nel libro denuncia “Le ragioni di una sconfitta”. L’architetto Benedetto Besio, il chimico Rosaria Carcassi, i medici Andrea Icardi e Laura Minicucci, la dirigente teatrale Anna Nano, il giornalista Enrico Pedemonte e gli avvocati Paolo Pissarello e Mario Alberto Quaglia, sono anche i fondatori della pagina Facebook Tam Tam Liguria creata lo scorso maggio per raccontare quanto stava accadendo nella nostra Regione e anche per dare voce alle moltissime testimonianze di cittadini liguri.
Un libro bianco sulla sanità ligure al tempo del Covid
Il libro bianco sul Covid in Liguria, nato dall’esigenza di comprendere il motivo dell’inadeguata gestione dell’emergenza regionale, ripercorre la genesi e la storia di questi mesi di pandemia con una cronaca puntuale e documentata dei fatti e riporta anche alcune delle centinaia di drammatiche testimonianze di persone che hanno denunciato ritardi, errori e mala gestione.
«L’idea di scrivere il “Libro bianco sul Covid in Liguria” ci è venuta lo scorso maggio discorrendo con alcuni amici su Skipe – racconta Enrico Pedemonte – stavamo discutendo su come stava andando la pandemia in Liguria e, preoccupati dall’eccessivo numero sia di contagi che di morti, la nostra regione praticamente era seconda in Italia dopo la Lombardia. Ci siamo anche resi conto che questa situazione non era raccontata né dai media né dai partiti dell’opposizione locale, quindi abbiamo deciso prima di aprire una pagina su face book e solo successivamente abbiamo scritto il nostro libro –continua Pedemonte – scegliendo di fare un parallelo con il Veneto che è una regione governata dal centrodestra come la Liguria, abbiamo messo a confronto le due politiche e la gestione della sanità e immediatamente abbiamo notato come il Veneto a differenza della Liguria abbia privilegiato la cura domiciliare e territoriale, eravamo partiti a marzo con una situazione molto simile – rispetto al Veneto abbiamo un terzo della popolazione e un terzo del numero di contagi – siamo arrivati alla fine di giugno con il doppio di numero di deceduti, in particolare abbiamo avuto 535 vittime in più. In quei tre mesi abbiamo contato più di 1500 morti che forse potevano essere evitati ed è devastante che nessuno abbia spiegato all’opinione pubblica il motivo di questa strage».
La pandemia e le carenze sanitarie
Questa pandemia ha evidenziato una grave carenza dei sistemi sanitari, un’inadeguatezza generata da anni di tagli alla sanità, sia a livello nazionale che regionale. Probabilmente la genesi di questa “tempesta perfetta” è il risultato del combinato disposto tra carenza di personale, disorganizzazione e scarsa capacità di visione del problema. A partire dalle oramai famose tre “T”: Testare, Tracciare, Trattare.
Le tre T
« Sostanzialmente l’errore è nello strumento – spiega Rosaria Carcassi – in Liguria è stato scelto di utilizzare quasi esclusivamente lo strumento finale e cioè gli ospedali con le relative terapie intensive mentre invece sarebbe stato più opportuno anticipare l’evoluzione dell’ epidemia, considerato che l’epidemia è un fenomeno che riguarda la sanità pubblica, di salute collettiva che va intercettata per tempo. Si devono rintracciare il più presto possibile gli asintomatici, si devono isolare i contagiati e si devono curare i malati precocemente, prima che arrivino in ospedale con la patologia già in stadio molto avanzato. L’errore è stato principalmente questo, orientarsi esclusivamente sulla cura in ospedale che invece dovrebbe essere l’ultima “barriera”, inoltre alle tre “T” si dovrebbe aggiungerne una quarta, la “T” di tempestività».
Il 9 marzo scorso ha emanato il decreto legge per consentire il potenziamento emergenziale del sistema sanitario delle regioni, il cosiddetto “sblocca assunzioni” il quale prevedeva, tra le altre misure, l’istituzione da parte delle Regioni delle USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) per garantire su tutto il territorio nazionale l’assistenza a domicilio in sicurezza (con i dispositivi protettivi individuali adeguati) ai pazienti affetti da Covid che non necessitano di ricovero ma in Liguria fino al 25 di marzo operava una sola squadra invece delle 23 necessarie, per essere a regime le USCA devono essere una ogni 50 mila abitanti, come da decreto.
Un errore non coinvolgere la medicina di base
«Un altro grande errore è stato il non coinvolgimento della medicina di base, la prima interfaccia di un cittadino che si ammala è il medico di famiglia- continua Carcassi – questo sarebbe stato un grande strumento di supporto ma quando poi nel tempo ci si è resi conto dell’importanza era oramai troppo tardi perché molti medici erano stati già contagiati e di conseguenza avevano chiuso gli ambulatori o erano irreperibili. E i cittadini liguri si sono sentiti abbandonati a loro stessi».
Le RSA e la “regressione sanitaria”
Ad oggi non è ancora stato calcolato quanti siano stati i morti nelle RSA nel passato recente ma è chiaro che, non solo in Liguria, le residenze per anziani siano state importanti focolai di infezione. Malati dimessi dagli ospedali e inviati nelle strutture dove hanno contagiato altri ospiti, mancanza di personale e di dispositivi di protezione, ed è proprio sulla carenza di personale che è importante comprendere il meccanismo che ha determinato nel tempo lo stress organizzativo e finanziario delle RSA. Dal 2017 Alisa ha introdotto la “regressione tariffaria”: la Asl competente (insieme ad Alisa) stipula un contratto con la RSA che stabilisce il volume di prestazioni da erogare e le tariffe relative. Ma i nuovi contratti prevedono che la tariffa intera vada pagata fino al 95% dei servizi erogati. Oltre tale limite la tariffa viene pagata al 50%. Questo sistema spinge le RSA a tagliare costi e servizi e dipendenti, per limitare le spese e dall’altra ad aumentare ogni anno il numero di posti letto pena la diminuzione delle prestazioni riconosciute. Nonostante ci siano già tre sentenze del Tar e una del Consiglio di Stato abbiano annullato questa norma, Alisa continua a riproporla con piccoli cambiamenti più lessicali che di sostanza.
Da un aggiornamento di Alisa che risale a luglio scorso risulta che i decessi avvenuti per Covid nelle strutture residenziali sono stati 772 pressoché la metà dei 1.561 dei decessi causati dal virus in Liguria.
Nelle RSA sono mancate le precauzioni
«Considerata la fragilità degli ospiti residenti nelle RSA bisognava adottare delle precauzioni che purtroppo non sono state applicate, per questo motivo il virus non ha trovato nessun ostacolo –afferma Paolo Pissarello – tutto è stato fatto in ritardo, dai tamponi ai DPI. Pensate a queste comunità chiuse che vivono in totale dipendenze da un sistema esterno che avrebbe dovuto proteggerle, in Liguria ci sono 382 case di riposo di dimensioni medio piccole ma sono fondamentali perché parte di un tessuto sociale, sono presidi importanti se si pensa che la Liguria conta la popolazione più anziana in Italia».
Giulia Danieli
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Svolgo attività di collaborazione giornalistica per RSI, la Radiotelevisione Svizzera Italiana, e ho partecipato alla redazione e alla produzione dei servizi documentaristici sul crollo del ponte Morandi (“43-Il ponte spezzato”) e sulla truffa dei falsi Modigliani (“Il giallo Modigliani”), entrambi andati in onda su Falò, magazine settimanale di informazione e approfondimento di RSI. Collaboro con vari quotidiani digitali sui temi sanità, salute, ambiente e diritti civili. Ho collaborato per il quotidiano Il Secolo XIX.