La sentenza di primo grado ha assolto anche tutti i 15 imputati compreso l’attuale Ad della multinazionale del petrolio, Claudio Descalzi, e il presidente del Milan, Paolo Scaroni
Milano – La mazzetta pagata al governo della Nigeria era ritenuta dai PM la più grande tangente mai pagata a politici e burocrati stranieri. Al centro del processo per corruzione internazionale l’acquisizione dei diritti di esplorazione del blocco petrolifero Opl245, un giacimento off shore nel Golfo di Guinea le cui riserve stimate ammontano a 9,23 miliardi di barili di greggio.
La presunta mazzetta
Il giacimento è stato assegnato nel 1998 per 20 milioni di dollari alla Malabu Oil & Gas, una società di cui era proprietario occulto l’allora ministro del Petrolio, il politico nigeriano Dan Etete.
Nel 2011, il blocco è stato ceduto a Eni e Shell in cambio del pagamento di 1 miliardo e 92 milioni che ufficialmente sono stati trasferiti su un conto dello Stato nigeriano, mentre in realtà sono finiti ai sostenitori politici di Etete: il ministro della Giustizia Adoke Bello, che oggi si è rifugiato proprio in Olanda, la terra di Shell, o il successivo ministro del Petrolio, Diezani Alison-Madueke, già top manager di Shell.
È su queste basi che il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro avevano fatto l’ipotesi di una maxi tangente versata per ottenere la licenza.
Il processo
Il processo era iniziato tre anni fa, a marzo 2018. Poi la scorsa primavera la Procura aveva chiesto condanne per tutti: 8 anni di carcere per l’ad di Eni, Claudio Descalzi, e per il suo predecessore Paolo Scaroni, 10 anni per l’ex ministro del petrolio nigeriano, Dan Etete, 7 anni e 4 mesi per Roberto Casula, manager per la compagnia petrolifera italiana nell’area dell’Africa sub-sahariana, e la confisca di 1 miliardo 92 milioni e 400 mila dollari sia nei confronti di Eni e Shell – cui è stata chiesta una sanzione pecuniaria di 900 mila euro ciascuna – che per tutti gli imputati.
Le richieste di pena sono da sempre ritenute dalla multinazionale di San Donato “prive di qualsiasi fondamento”, e “in assenza di qualsivoglia prova o richiamo concreto ai contenuti dell’istruttoria dibattimentale”.
La sentenza
La tesi della maxi tangente su cui si fondavano le accuse della Procura è stata cancellata ieri dai giudici della settima sezione penale del tribunale di Milano che hanno assolto tutti gli imputati con formula piena “perché il fatto non sussiste”.
Le motivazioni saranno depositate in 90 giorni.
In particolare, i giudici hanno assolto Descalzi, che all’epoca era dg Exploration&Production, insieme all’ex numero uno Scaroni, oggi presidente del Milan e vicepresidente di banca Rothschild & Co. Italia SpA, all’ex responsabile operativo del gruppo di San Donato nell’Africa sub-sahariana, Roberto Casula, all’ex manager della compagnia italiana nel Paese africano, Vincenzo Armanna, all’ex manager di Nae, controllata di Eni in Nigeria, Ciro Antonio Pagano, e all’ex ministro del Petrolio nigeriano, Dan Etete.
I giudici hanno dichiarato innocenti anche Luigi Bisignani, il russo Ednan Agaev e Gianfranco Falcioni, quest’ultimo ex Vice console onorario in Nigeria, e poi l’ex presidente di Shell Foundation, Malcom Brinded, e gli ex dirigenti della compagnia olandese Peter Robinson, Guy Jonathan Colgate e John Coplestone.
Un’assoluzione che vale 1 miliardo e 92 milioni
Ma il colpo più importante per Eni e Shell è proprio l’assoluzione delle due società, che erano imputate per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti.
Con le assoluzioni, infatti, i giganti del petrolio non dovranno alcun risarcimento al governo nigeriano, che si era costituito parte civile, né dovranno temere la confisca da 1 miliardo e 92 milioni sostenuta dall’ufficio inquirente del procuratore Francesco Greco.
Così Eni in un comunicato stampa diffuso dopo il pronunciamento dei giudici milanesi: “La decisione del Tribunale ha finalmente stabilito, dopo quasi tre anni di dibattimento, che la società, l’Amministratore Delegato, Claudio Descalzi e il management coinvolto nel procedimento hanno mantenuto una condotta assolutamente lecita e corretta”.
Già un anno fa, la multinazionale di San Donato aveva scampato una confisca da 197 milioni di dollari, revocata dalla seconda Corte d’Appello di Milano che nel processo sul caso Saipem-Algeria, nel quale l’accusa era sempre quella di corruzione internazionale, aveva assolto Eni, Scaroni, Saipem e tutti i suoi manager.
Il conflitto con le condanne del rito abbreviato
Un’assoluzione quella di ieri che fa a pugni con le pene stabilite dal rito abbreviato dove i presunti mediatori, Obi Emeka e Gianluca Di Nardo, sono stati condannati a 4 anni di reclusione.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.