Processo per i veleni del Poligono di Quirra: tutti assolti

Per gli otto comandanti il PM aveva chiesto condanne dai 3 ai 4 anni per “omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri”, reato che andrà in prescrizione fra un anno e mezzo

Lanusei (NU) – Tutti assolti.
Dopo circa due ore di camera di consiglio, è questa la conclusione del giudice monocratico di Lanusei, Nicoletta Serra, al termine del lunghissimo processo per i veleni del Poligono Interforze di Salto di Quirra (PISQ), nella zona del Sarrabus, in Sardegna. Veleni che secondo l’accusa avrebbero provocato negli anni almeno 169 morti accertati tra pastori, dipendenti civili della base e militari.
Una tesi non condivisa dal Tribunale che invece ha assolto gli otto imputati perchè “non vi è idonea prova circa la sussistenza del fatto”.
Dopo lo stralcio del reato di disastro ambientale, escluso dal Gup Nicola Clivio nel 2014, erano finiti alla sbarra i sei generali alla guida del poligono centrale dal 2004 al 2010, e i due colonnelli che negli stessi anni erano al comando del distaccamento di Capo San Lorenzo. Si tratta di Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Walter Mauloni, Carlo Landi, Paolo Ricci, Gianfranco Fois e Francesco Fulvio Ragazzon. A tutti il numero uno della Procura, Biagio Mazzeo, contestava di non aver interdetto ai civili e alle greggi le aree militari dove si svolgevano brillamenti e lanci di missili, e di non aver dotato il personale della base di dispositivi di protezione.

Il Poligono dei veleni

Tutti assolti.
Eppure a Quirra ci sia ammala da quarant’anni. Linfomi e leucemie. Fulminanti e senza scampo. Troppe per i medici di famiglia che firmano certificati di morte per tumore per compaesani sempre più giovani.
Per non parlare delle malformazioni dei bambini di Escalaplano, l’ultimo paese della provincia del sud Sardegna al confine con l’Ogliastra e a un tiro di schioppo dal PISQ.
O degli agnelli nati con sei zampe o un occhio soltanto, ma grande quanto quello di Polifemo.
Lo raccontano i residenti. Lo denunciano i comitati.
Una lotta che va avanti trent’anni finché nel 2011 qualcosa si muove alla Procura di Lanusei e il suo dirigente, Domenico Fiordalisi, apre un’inchiesta su quella che ormai viene chiamata la Sindrome Balcani-Quirra.

I missili al torio

È tenace Fiordalisi, e non si accontenta di avventurarsi negli aspri terreni del poligono interforze con un gruppo di forestali ma fa riesumare le salme di 18 pastori. Su 15 viene effettuato il prelievo della tibia e i risultati sono sconcertanti: i periti parlano di “una prova significativa dell’accumulo di torio in questi soggetti per inalazione”. Trovano anche alcune “terre rare” come “il cerio, che è una sostanza utilizzata nella fabbricazione artificiale di materiali al torio”. E il torio è un metallo radioattivo molto più pericoloso dell’uranio impoverito perché con il decadimento genera dei “figli” che emettono particelle Alfa, le più lesive perchè possono danneggiare il DNA.
Di più. Nella zona è stata scoperta una discarica abusiva di materiale bellico.
Un ettaro di estensione per cinque metri di profondità dove nascondere i rifiuti militari più disparati, dall’amianto alle gomme dei camion, ai rocchetti di filo che servivano ai missili anticarro filoguidati. Sono i famosi Milan, almeno 1.187 secondo i documenti forniti a Fiordalisi dall’Aeronautica quelli sparati nel Poligono dal 1987 al 2000, che si sono rivelati missili al torio.
Ancora di più.
“Per accertare i danni all’ambiente ed effettuare le analisi, al PISQ è stata chiamata una società, la SGS Italia SpA, che è collegata alla FIAT Iveco e a Finmeccanica”, lo scopre il Procuratore di Lanusei cui non sfugge il collegamento societario tra controllore e controllato: Finmeccanica partecipa per il 25% alla Mbda che è la società europea che produce i Milan.

Lo sa il vento

C’è poi il problema del percorso delle polveri dal poligono ai rubinetti.
La base più grande d’Europa, infatti, oltre che dagli eserciti di mezzo mondo è utilizzata anche dal Centro Sviluppo Materiali, un ente di ricerca partecipato da Finmeccanica che testa i tubi del gas e lo fa con esplosioni molto violente che alzano nuvole di polvere alte 300 metri. Questo fa tornare in sospensione tutte le particelle nocive depositate sui terreni che così volano via con il vento fino alla zona di Sa Maista. E qui si trova la sorgente che alimenta l’acquedotto di Quirra, dove è stata registrata la più alta percentuale di morti.
Lo dicono decine di sopralluoghi e centinaia di verbali di Fiordalisi, lo attesta anche l’Arpas. Ma non basta.
In fase di udienza preliminare il Gup Clivio chiede una nuova perizia al Politecnico di Milano che dirà che a Quirra “non c’è stato nessun disastro ambientale”. 12 indagati vengono prosciolti e per gli altri le accuse sono derubricate in “omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri”.

La sentenza di oggi e le reazioni delle parti civili

A dieci anni dall’inizio dell’inchiesta e dopo un cambio di Procuratore, la sentenza di oggi mette la parola fine a un processo durato sette anni. Un’assoluzione che suscita perplessità tra le parti civili che si aspettavano “qualcosa di più, un messaggio anche piccolo che ci potesse dimostrare che si cerca la giustizia”. Un gesto simbolico, insomma, che non lasciasse l’amaro in bocca e questo senso di indignazione per una bella terra martoriata e per il suo mare ridotto a una pattumiera per gli ordigni militari di tuta Italia.

Simona Tarzia

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.