L’episodio risale al 31 maggio 2016, quando l’imputato fece fermare per due volte la processione di San Giovanni Evangelista per rendere omaggio alla nota famiglia corleonese
È stato condannato in via definitiva Leoluca Grizzaffi, il capo vara che aveva ordinato per due volte di fermare la processione di San Giovanni davanti all’abitazione di Totò Riina e Ninetta Bagarella, a Corleone, il 31 maggio del 2016. L’episodio era stato denunciato alla procura distrettuale antimafia da un commissario di polizia e un maresciallo dei carabinieri che erano presenti alla processione e l’avevano poi lasciata in segno di dissociazione.
La terza sezione penale della Corte di Cassazione aveva rigettato il ricorso a ottobre 2021 e nei giorni scorsi sono uscite le motivazioni che confermano la condanna a sei mesi per il reato di “turbamento di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa” previsto dall’articolo 405 del codice penale.
Nelle carte degli ermellini si legge come questo “turbamento rilevi non solo (e non tanto) sotto il profilo materiale ma anche sotto quello della strumentalizzazione della funzione a scopi totalmente contrari al sentimento religioso di chi vi prende parte, ai valori da esso espressi, nei quali il sentimento religioso di ciascuno si riconosce e che la funzione intende evocare e onorare”.
In questo caso, si è trattato “di due soste effettuate senza giustificazione dinanzi all’abitazione di congiunti stretti di Totò Riina ordinate dal ricorrente, nella sua già indicata qualità, anch’egli imparentato con il Riina stesso. In tale contesto non rileva la circostanza, ribadita a più riprese in sede di discussione orale dal difensore del ricorrente, che la moglie del Riina non fosse fisicamente presente in quel momento; rileva la materialità del gesto che, interpretato dalla Corte d’appello come ossequio ad un esponente di spicco della criminalità mafiosa, ha strumentalizzato una processione religiosa a fini del tutto contrari al sentimento di coloro che vi partecipavano e comunque ai valori universalmente espressi e riconosciuti dalla religione cattolica, sovvertendoli completamente e integrando a tutti gli effetti il reato contestato: la processione si è fermata per rendere omaggio all’abitazione di uno storico capo mafia e, dunque, al capo mafia stesso. Il fatto che non sia stato effettuato il cosiddetto inchino costituisce una mera variabile che non esclude, in sua assenza, la materialità del fatto: l’inchino, semmai, l’avrebbe solo reso più grave”.
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