Se da una parte si parla di bavaglio dall’altra c’è sempre “il fango”
Poi, aggiungiamo noi, ci sarebbe il diritto dei cittadini di sapere.
In una nota il deputato di Azione, Enrico Costa, critica aspramente una dicharazione di Gratteri che in un’itervista, oltre a valutazioni tecniche, ha definito la legge sulla presunzione di innocenza come un assist alla criminalità organizzata”. Costa ha dicharato che un’affermazione del genere infanghi “chi ha lavorato ad un provvedimento che va esattamente nella direzione opposta: rendere credibile ed efficace l’azione dello Stato. E lo fa senza inventare nulla, ma recependo una direttiva europea”.
Certe Procure…
Ma Costa approfitta per fare un’accusa diretta “a certe Procure che “fino ad oggi hanno campato sul marketing giudiziario che è quanto ci possa essere di più pericoloso, incivile, illiberale e arbitrario. Il marketing giudiziario è scientificamente studiato da certe Procure per far conoscere ed apprezzare un prodotto parziale, non verificato, non definitivo: l’accusa.
Un prodotto – per quanto modificabile e smentibile – presentato all’opinione pubblica come oro colato. Una forma di condizionamento dell’opinione pubblica – continua Costa – ma anche del giudice, raggiunto da una gragnuola di frammenti di informazione proveniente solo da una parte”.
Le affermazioni di Costa puntano il dito contro procure un po’ troppo attive, di processi costruiti su prove indiziarie. E in questi anni ne abbiamo visti molti, non ultimo quello riguardante la trattativa Stato-mafia.
Colpa dei giornali
“I media, sempre pronti a evocare il rischio bavaglio a chi invoca la presunzione d’innocenza, assorbono e trasmettono acriticamente: un’inchiesta viene battezzata con un nome ad effetto? Tutti a riportare alla lettera. Senza domandarsi chi ha scelto quel nome, perchè lo ha scelto, se ne aveva titolo. Domandiamoci: con quale spirito critico molti giornalisti seguono le indagini ed assorbono le informazioni trasmesse dagli inquirenti? L’interesse immediato – spiega il deputato di Azione – non e’ quello di approfondire, ma di pubblicare al più presto. Nome dell’inchiesta prima di tutto.
I giornalisti nella maggior parte dei casi pubblicano i comunicati stampa così come li ricevono. Chi è più addentro alla materia, e ha voglia di approfondire, qualche informazione in più riesce ad averla e quindi scriverla. Di certo scrivere di un sequestro preventivo di beni, a un ignoto imprenditore, colluso con la ‘ndrangheta di una zona non bene identificata, ha poco senso. E in questo senso la legge sulla presunzione di innocenza ha peggiorato molto la possibilità di informare i cittadini in modo esaustivo.
Per i giornalisti la sentenza è la conferenza stampa
“Sarebbe questa la massima espressione del diritto di cronaca-dovere di informare? Recepire e basta? Scordarsi che dopo le inchieste ci sono i processi? Spegnere il rubinetto delle notizie quando finalmente si apre il dibattimento? La vera sentenza per molti giornalisti è la conferenza stampa della Procura, perchè la sentenza vera, quella pronunciata dopo il processo, non interessa più a nessuno. Perchè le indagini sono presentate come un processo-inverso: si parte dalla sentenza-conferenza stampa, la si pubblica, la si scolpisce nell’opinione pubblica, poi forse – quando avrà letto gli atti – la difesa potrà controbattere. E potrà farlo in un processo a questo punto senza riflettori, senza titoli, senza interesse. Ecco perchè mi sono battuto per recepire la direttiva UE sulla presunzione d’innocenza, ecco perchè ho presentato l’emendamento, accolto, sul diritto all’oblio per gli assolti, ecco perchè ho proposto che fosse lo Stato a contribuire alle spese legali degli innocenti. Perchè uno Stato di diritto deve essere attento, quando immerge una persona nell’ingranaggio della giustizia, a garantire che ne esca, se innocente, nelle stesse condizioni di reputazione e immagine di cui godeva in precedenza.
Ma cosa dice il D.l.gs 188/2021 sulla presunzione di innocenza?
E’ in vigore dal 14 dicembre 2021, recepisce una Direttiva UE, introduce alcune disposizioni tese al rafforzamento della «presunzione d’innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali».
Il fulcro del decreto consiste nella disciplina relativa alla diffusione delle informazioni riguardanti i procedimenti penali e gli atti di indagine.
E infatti l’art. 2 dispone che «è fatto divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili».
In caso di violazione del divieto l’interessato, oltre ad avere diritto al risarcimento del danno, può chiedere la rettifica della dichiarazione e, in caso di inottemperanza dell’autorità, può agire ex art. 700 c.p.c., chiedendo al tribunale di disporre la pubblicazione della rettifica. Il divieto è rivolto alle autorità pubbliche in generale e quindi, oltre ai magistrati, a qualsiasi autorità investita di potestà pubblicistiche. Dunque, ai funzionari pubblici e agli esponenti della politica non saranno più consentite esternazioni sulle indagini in corso nelle quali un indagato venga additato come colpevole.
L’art. 2 non riguarda i privati ed in particolare gli organi di informazione, il decreto incide indirettamente sul fenomeno dei processi mediatici e dispone che i rapporti con gli organi di informazione competono esclusivamente al procuratore della Repubblica o a un magistrato dell’ufficio appositamente delegato.
L’art. 3 del nuovo decreto aggiunge che la “diffusione di notizie può avvenire esclusivamente attraverso comunicati ufficiali o tramite conferenze stampa e a condizione che «risulti strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrano altre specifiche ragioni di interesse pubblico”.
L’organizzazione di una conferenza stampa deve essere motivata “in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che la giustificano”.
Gli ufficiali di polizia giudiziaria possono fornire informazioni, con le medesime modalità, sugli atti di indagine compiuti soltanto se autorizzati dal procuratore con atto motivato.
Il decreto poi stabilisce che al di fuori dei canali ufficiali non è consentito dare ulteriori notizie ai cronisti e comunque le informazioni devono essere diffuse in modo da assicurare alla persona sottoposta ad indagini o all’imputato il diritto «a non essere indicati come colpevoli» fino a quando la colpevolezza non sia stata definitivamente accertata. Infine, il comma 3-ter precisa che nei comunicati stampa e nelle conferenze è fatto divieto «di assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza».
Per la prima volta, è stato sancito il diritto dell’indagato a non subire la spettacolarizzazione dell’indagine che, di per sé, lede la reputazione e compromette la serenità della difesa e si appella al diritto costituzionale della presunzione di innocenza.
La sentenza del rito abbreviato di Rinascita Scott
Le polemiche su questo controverso decreto sono state alimentate anche nel mese di novembre dalla sentenza dell’abbreviato del processo di ‘ndrangheta Rinascita-Scott dove furono condannate 70 persone e prosciolte altre 20. In quell’occasione le dicharazioni del Procuratore Nicola Gratteri furono provocatorie: “ Settanta presunti innocenti condannati”. Alla domanda se la nuova legge avrebbe imbavagliato i magistrati (e alcuni giornalisti aggiungiamo noi) rispose che “A me non lega niente e non chiude la bocca. Sono una persona che non ha timore di niente e di nessuno, dico sempre quello che penso e se non posso dire la verità è perché non posso dimostrarla. Continueremo a parlare e a spiegare all’opinione pubblica, che ne ha diritto. Ancora in Italia non è stato negato il diritto di informazione della stampa”.
Ma a fronte delle polemiche tra il Procuratore di Catanzaro e il deputato Costa, c’è la necessità incontrovertibile di tutelare gli imputati, che non sono si possono definire colpevoli fino alla sentenza di primo grado, e anche nel caso di condanna non rappresentano il male assoluto, così come un’assoluzione può avere tante letture.
Ci sono processi che terminano con verdetti scandalosi di giudici non all’altezza del ruolo che ricoprono, che portano al ribaltamento delle sentenze in appello e spesso in Cassazione.
Le assoluzioni con le gambe corte
Forse l’applicazione di un decreto come quello sulla presunta innocenza dovrebbe prevedere una differenza di applicazione in base all’imputato. Nella storia delle mafie italiane, seguendo il filo rosso delle cosche, incontriamo sempre gli stessi nomi, le stesse famiglie, che delinquono tramandando l’eredità mafiosa di padre in figlio. Tutelare così ampiamente questi personaggi senza valutare una sorta di doverosa comunicazione alla comunità, appare un danno più grande di quello che si vuole evitare. Nei giorni scorsi, un sequestro milionario a un noto ‘ndranghetista, plurioregiudicato, recidivo, è stato effettuato dalla Procura di Reggio Calabria, mentre un’altra procura calabrese, poco più di un anno fa lo aveva assolto. Assoluzione dalle gambe corte perché, dopo aver letto le motivazioni, in appello ci sarà, molto probabilmente, il ribaltamento della sentenza.
Le vite di chi viene indagato vanno protette, ma anche le comunità vanno tutelate, e i cittadini devono sapere se il loro vicino è un trafficante di stupefacenti o fa parte di una cosca mafiosa.
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