Ispi: funzionano poco, solo un terzo raggiunge l’obiettivo
Le sanzioni funzionano? Poco, e solo a certe particolari condizioni.
“Guardando all’esperienza di oltre un secolo di storia, dalla Prima guerra mondiale ai giorni nostri, si scopre che le sanzioni economiche hanno raggiunto il loro obiettivo solo un terzo delle volte. E ancora meno – solo il 25% – quando lo scopo era quello di dissuadere o far cessare azioni militari. Le cose si fanno ancora più complicate se il Paese sanzionato non è democratico, proprio come la Russia. In questo caso la probabilità che abbiano successo crolla all’11%”.
A sostenerlo è l’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, in un’analisi che valuta quale efficacia potranno avere le sanzioni imposte alla Federazione russa per l’invasione militare dell’Ucraina.
“Molto dell’efficacia delle sanzioni – proseguono gli analisti – dipende dalla loro globalità e dalla loro forza, a sua volta legata al target da colpire prescelto. In questo senso, le sanzioni alla Russia sono un esempio perfetto. Sono globali?
No. A oggi quasi solo i paesi del campo occidentale – dagli Usa all’Ue, dal Regno Unito al Giappone, dal Canada all’Australia – ha imposto sanzioni, ma si nota tra gli altri l’assenza della Cina, di India o Brasile tra i paesi sanzionatori. Sono forti? Dipende. Nel 2014 il campo occidentale optò per sanzioni minori dirette a funzionari russi e oligarchi vicini a Putin, puniti con il congelamento dei loro beni o il divieto di viaggiare nei paesi sanzionatori. Misure non particolarmente efficaci a giudicare da come si è evoluta la situazione” ad oggi.
Esempi storici di come funzionano (oppure no) le sanzioni
L’Ispi poi propone una serie di esempi storici per valutare l’efficacia delle sanzioni.
“Proprio in questi mesi compie 60 anni l’inizio dell’embargo americano a Cuba, che mai riuscì a convincere i cubani a deporre Castro e i suoi eredi. L’Iran degli ayatollah è sotto sanzioni dal 1979, e lo è stato per otto anni non consecutivi sul nucleare, anche se, almeno su questo, sembra che Washington e Teheran siano vicini a un accordo. Poi le sanzioni contro il nucleare e i test missilistici della Corea del Nord (16 anni), per non parlare degli 8 anni di sanzioni contro Maduro in Venezuela che è ancora al potere, e della stessa Russia dopo il primo conflitto russo-ucraino del 2014. Insomma, la strada è in salita”.
Tornando alla questione attuale dell’Ucraina, “di fronte alla nuova aggressione russa, Stati Uniti, Ue e Uk – proseguono gli analisti – hanno provato ad alzare il tiro già martedì, bloccando i beni di alcune banche russe medio-piccole e vietando a Mosca l’accesso ai mercati finanziari e ai capitali occidentali per rendere più complicato il finanziamento del suo debito sovrano. Questo non è bastato a dissuadere Putin da un attacco su larga scala. Così ieri il pugno è stato più duro: si sono aggiunte sanzioni a banche più grandi e limiti alle esportazioni per tecnologie e settori sensibili. A causa della riluttanza di un gran numero di Paesi europei, mancano all’appello sia l’esclusione della Russia dal sistema Swift (che colpirebbe sia Mosca, sia i Paesi europei, rendendo molto più difficili le transazioni finanziarie), sia sanzioni Ue nel settore energetico che non siano meramente simboliche”.
“Malgrado ancora non si spingano fino in fondo – rileva l’Ispi -,le nuove sanzioni annunciate ieri dagli alleati occidentali sono molto più forti rispetto a quelle del 2014. Già le sanzioni di otto anni fa, comunque, avevano arrecato danni piuttosto significativi all’economia russa. Si stima che nel 2017 il Pil russo fosse inferiore del 2,3% rispetto a quanto avrebbe potuto essere nel caso le sanzioni non fossero state imposte. Diversamente, dalle sanzioni del 2014 gli alleati Nato hanno subito quasi sempre danni molto più ridotti. In particolare i grandi: si andava da un -0,6% punti di Pil della Germania a un danno sostanzialmente nullo per gli Stati Uniti. Nel mezzo, Italia e Francia erano appaiate a -0,2%, ovvero circa un decimo rispetto all’effetto avvertito dalla Russia. La necessità di agire in maniera coordinata e forte contro Mosca si scontra tuttavia con la quasi sicurezza che il contraccolpo nei confronti dei Paesi sanzionatori sia asimmetrico. E questo apre a spazi di dissenso tra gli alleati”.
Valutando i contraccolpi, “tra Paesi meno esposti agli effetti delle sanzioni verso Mosca, sia a possibili interruzioni di forniture di gas dalla Russia, effetto di sanzioni o di decisioni unilaterali, si trovano gli Stati Uniti – osserva l’Ispi -. Tra i Paesi più esposti invece ci sono l’Italia, assieme alla Germania. Roma più vulnerabile sul fronte energia, Berlino più su quello economico. Due dei Paesi che più si erano dimostrati riluttanti a imporre sanzioni contro la Russia. Insieme si trovano anche l’Ungheria, che non soltanto tende a essere più vicina a Mosca – Orban è amico di Putin -, ma rischia anche di essere uno dei Paesi più penalizzati dall’imposizione delle sanzioni. È naturale dunque chiedersi – conclude l’Ispi – se, all’interno di quello che appare come un fronte compatto in risposta all’invasione russa, non si stiano già per aprire alcune fratture. Fratture che potrebbero rendere più difficile l’adozione di eventuali misure ancora più restrittive, o la loro prosecuzione nel tempo”.
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