Genova – Ci sono storie che sembrano gialli all’italiana, gli spaghetti thriller come li chiama il cinema internazionale. Storie di omicidi, intrighi, misteri e colpi di scena. Storie che potrebbero essere film da vedere e rivedere. Ma queste che vi raccontiamo, invece, sono storie vere.
L’AGGUATO
Se fossimo al cinema la nostra trama comincerebbe con cinque uomini, in piedi davanti al bancone della pizzeria “Due pazzi”, in via Teglia. È una sera di settembre del ’78, il 21.
È giovedì e nel locale, oltre al titolare e al barista, ci sono un egiziano di vent’anni e due sposini “che consumano un pasto frugale”. Almeno è questo che scrivono i giornali dell’epoca.
La serata è tranquilla. Solo i colpi di pistola squartano il silenzio. Cominciano mentre il barista è chino sul frigo aperto a prendere da bere. A sparare sono quattro persone a viso scoperto. Il barista si butta in terra dietro al bancone insieme al titolare del locale. Le pallottole arrivano da quattro pistole e da un fucile a canne mozze. Sparano venti, trenta colpi. Tutti ad altezza uomo. Cadono a terra Luigi Facchineri, che morirà al San Martino quella stessa notte, e Giuseppe Gaglianò, quello che aveva chiesto da bere, che crolla comprimendosi il petto con gli occhi sbarrati.
Un duplice omicidio legato alla faida di Cittanova ma che, come nei gialli che si rispettano, resterà a lungo senza colpevoli.
A far luce sulla nostra storia sarà una pistola, più di trent’anni dopo.
Fermiamoci qui e torniamo un attimo indietro. Ecco, se fossimo in un film ora la macchina da presa lascerebbe Teglia per puntare sull’Aspromonte, nella Canolo degli anni ’60. Qui c’è un ragazzo adolescente che rompe le regole della famiglia. Non ne vuole sapere di morti ammazzati e si rifiuta di sparare a un tale Nicola D’Agostino, uomo della cosca avversaria. Si chiama Rolando Fazzari e l’omicidio gli è stato commissionato dal suo stesso padre, Francesco Fazzari.
È lui, Rolando, che anni dopo racconterà al Procuratore di Savona, Francantonio Granero, di aver visto un uomo, che aveva fretta di liberarsi di un’arma che scotta, consegnarla a Francesco Fazzari perché la facesse sparire nella cava discarica gestita dalla famiglia in Liguria, alle porte di Borghetto Santo Spirito. È la sera del duplice omicidio di Teglia e l’uomo con la pistola è il presunto boss della ‘ndrangheta del Nord Ovest, Carmelo Gullace, oggi imputato nel maxi processo Alchemia.
LA VEDOVA
Quelle che vi raccontiamo sono storie di mafia. Storie di guardie e di criminali. Mestieri da uomini, in quegli anni. Ma in questa storia ci sono anche le donne, sono quattro e anche loro sono personaggi da spaghetti thriller.
Ce n’è una che si chiama Nicolina, ha 74 anni ed è diabetica. Si trova a Genova per dei controlli di routine dopo un intervento chirurgico. Lei è la mamma di Maria Teresa e la nonna di Marilena. Loro sono le altre protagoniste della nostra storia.
Marilena è la più giovane. Ha 22 anni ed è iscritta al terzo anno di architettura. È bella Marilena, studiosa e altruista. Da tre mesi dorme sul divano per lasciare la sua camera alla nonna e alla zia arrivate dalla Calabria. Da Rosarno, per la precisione, il covo della cosca Pesce.
Di Rosarno è anche un’altra donna della nostra storia, si chiama Giusy Pesce ed è la figlia di Salvatore detto “U babbu”, detenuto dal 2005. La sua è una vita diversa. Giusy la chiamano “la postina del clan”: è lei l’incaricata di portare gli ordini del padre dal carcere agli altri affiliati e per questo nel 2010 finirà dentro anche lei.
Ma stiamo andando troppo veloci. Fermiamoci sulle tre donne di Pegli. Se fossimo al cinema ora ci sarebbe un cambio di scena, dal parlatorio di un penitenziario alla stanza di un appartamento del quartiere Torre Cambiaso. È mattino e Nicolina, Maria Teresa e Marilena sono ancora in pigiama. Marilena è al calduccio sotto le coperte. È il 18 marzo ma fa freschetto. La troveranno così gli uomini della scientifica: ancora avvolta nella sua coperta, uccisa da un colpo alla tempia da distanza ravvicinata. La nonna in terra, riversa su un tavolino di vetro andato in frantumi, e Maria Teresa dietro a una poltrona, in un estremo quanto inutile tentativo di difesa. Tutte massacrate a colpi di calibro 22 e 38 special. Alla porta non ci sono segni di effrazione e forse anche questo, in un primo momento, farà propendere gli investigatori per la pista del figlio, Francesco Alviano. Perché quello che è chiaro da subito è che l’obiettivo della mattanza era Maria Teresa. Vedova del boss Alviano, si innamora di Francesco Arcuri, un altro ‘ndranghetista ucciso qualche mese prima con una scarica di lupara al basso ventre. Un messaggio chiaro: questione di donne. Maria Teresa è terrorizzata e pensa di salire al Nord, forse per rifarsi una vita lontano dalla violenza delle cosche di Rosarno. Ma si sbaglia. Maria Teresa non lo sa ma è già morta. Era già morta fin da quando la famiglia Arcuri aveva chiesto la testa di suo figlio per l’omicidio del suo amante e la cosca Pesce, molto legata agli Alviano, si era opposta. Divenuta testimone giustizia, a fare i nomi degli assassini sarà proprio Giusy Pesce. Diciotto anni dopo la donna racconterà che alla spedizione genovese presero parte Domenico Leotta e Francesco Di Marte, i killer di fiducia delle famiglie della Piana. Per ristabilire gli equilibri mafiosi tra le cosche, infatti, serviva un omicidio che vendicasse la morte di Francesco Arcuri.
E non un omicidio qualunque, ma un inferno di colpi, come titoleranno i giornali il giorno dopo.
Queste che avete letto sono soltanto due delle storie di marca mafiosa che hanno insanguinato Genova dagli anni ’60. Una strategia del terrore per fare terra bruciata sullo spaccio, le prostitute e il gioco d’azzardo. Per mettere il territorio a ferro e fuoco e poi ristabilire l’ordine. Per riscrivere le regole e dominare su tutto.
Sono storie cruente che ci si ostina a far scivolare via mentre in questa calma apparente, dove tutto pare legale, la mafia si evolve e fa i soldi grossi col narcotraffico, l’edilizia e gli appalti pubblici.
Nel video di Fabio Palli, Christian Abbondanza ripercorre questa lunga scia di sangue.
Simona Tarzia
RINGRAZIAMENTI
Tutto il personale della Biblioteca Universitaria di Genova, in particolare Cecilia Troiano della sala microfilm e Giancarlo Morettini addetto al prestito, riproduzioni e catalogazione.
La Casa della Legalità per la consultazione del suo gigantesco archivio.
Il Secolo XIX per l’utilizzo delle riproduzioni degli articoli dell’epoca.
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.