Quello che succede in porto, resta nel porto

Le dichiarazioni shock del PM nella requisitoria del processo bis per la Torre Piloti

Genova – Quattro morti al giorno per incidenti sul lavoro in Italia. È questa la fotografia del 2019 fissata dagli ultimi dati INAIL.
Un’emergenza sotto gli occhi di tutti ma che troppo spesso si sceglie di non vedere. E tutto resta immobile come se non accadesse nulla.
E  i padroni continuano a non essere all’altezza dei loro doveri e dell’impegno preso con ogni lavoratore. Ancora e ancora.

È partendo da queste considerazioni che Adele Chiello Tusa, la mamma di Giuseppe morto nel disastro della torre di controllo del porto di Genova, è riuscita con le sue perizie a dare una svolta al secondo filone processuale sull’incidente del 7 maggio 2013, quello che punta il dito sulla struttura portuale e sulle responsabilità dei datori di lavoro e dei progettisti della Torre Piloti.

Così questa volta sono finiti alla sbarra i “padroni” delle vittime e i responsabili della sicurezza.
In testa Felicio Angrisano, che all’epoca era il Comandante del porto di Genova e che poi è stato promosso a Comandante generale del Corpo delle capitanerie di porto.
Insieme all’Ammiraglio sono indagati anche Giovanni Lettich e Sergio Morini della corporazione Piloti, Paolo Tallone della Capitaneria di Porto, Gregorio Gavarone e Roberto Matzedda del Gruppo Rimorchiatori riuniti.

Nell’inchiesta bis sono entrati il commissario straordinario e i dirigenti tecnici del Consorzio autonomo del Porto di Genova, cioè quelli che avevano redatto il progetto precontrattuale. Parliamo di Gino Capocaccia, Angelo Spaggiari, e Paolo Grimaldi, oltre al progettista Bruno Ballerini e al collaudatore Giorgio Mozzo.
E infine Ugo Tomasicchio, ex presidente del Consiglio nazionale dei lavori pubblici, che a questo progetto aveva dato parere favorevole.

18 indagati in totale, tra persone fisiche e società.

Quello che succede nel porto, resta nel porto

Dopo oltre due anni di dibattimento, l’udienza preliminare si è aperta il 5 aprile 2018, finalmente il 7 luglio scorso è arrivata la requisitoria finale del PM, Walter Cotugno.

Racconta Cesare Bulgheroni, uno degli avvocati del pool che difende Adele Tusa: “Il PM ha fatto un gesto molto importante. Si è detto pentito di aver chiesto in prima battuta l’archiviazione di questa costola del processo dichiarando di non essere stato a conoscenza delle problematiche del porto”.

Come dire che quello che succede nel porto, resta nel porto. E infatti continua Bulgheroni: “Il PM ha ammesso di aver avuto un’ottica distorta perché era all’oscuro delle dinamiche portuali “.

Ma non è l’unica dichiarazione shock di Cotugno.
Durante la requisitoria è venuto fuori che l’Ammiraglio Angrisano avrebbe sottovalutato i rischi per non danneggiare la propria carriera.

Continua Bulgheroni: “Essere il Comandante del Porto di Genova è l’ultimo gradino professionale di un ammiraglio, quello che lo lancia al comando del Corpo delle capitanerie di porto. Secondo il PM, attuare dei provvedimenti per la sicurezza della Torre Piloti avrebbe gettato fango sui suoi predecessori. Come a dire che non erano stati all’altezza dell’incarico. E questo avrebbe probabilmente frenato la sua possibilità di arrivare al Comando Generale”.

Un atteggiamento omertoso che non è solo portuale ma che ritroviamo in ogni ambiente di potere nel nostro Paese, per cui “le cose non vengono fatte con la dovuta accortezza e così il 14 agosto di un anno qualunque crolla il ponte Morandi, e un giorno o l’altro, una Jolly Nero qualunque, va fuori controllo e abbatte la Torre”.

Un gigante dai piedi d’argilla

“La torre era fragile di per sé”, spiega Bulgheroni che poi precisa: “Praticamente una palafitta di 50 metri d’altezza su un fusto di 9 metri di diametro e con un grosso cappello dove si trovavano gli uffici della Capitaneria, del Corpo Piloti e di Rimorchiatori riuniti”.

Su questo hanno giocato anche le difese di Capocaccia, Grimaldi e Spaggiari, puntando sul fatto che la struttura fu costruita al risparmio, modificando il progetto iniziale. Ma in Autorità Portuale i faldoni originali non si trovano.
“È solo un modo per spostare il problema perché l’origine è stata l’urto”, conferma Bulgheroni che ribadisce: “La posizione su un bacino acqueo dove manovrano questi giganti del mare richiedeva delle accortezze e invece non c’era nemmeno un frangiflutti”.

C’è anche una foto postata sui social da una delle vittime, Daniele Fratantonio, che qualche mese prima della tragedia inquadrava una nave MSC che sembrava entrare dalle vetrate della torre. A dimostrazione di quanto fosse rischioso quel posto di lavoro.
“Eppure il documento di valutazione dei rischi, previsto dal Decreto Legislativo 81/2008 e che vale per tutti gli ambienti di lavoro, prendeva in considerazione soltanto i rischi interni”, denuncia Bulgheroni che poi ricorda le parole di Cotugno durante la requisitoria: “Secondo il PM sarebbe stato possibile intervenire senza nemmeno impattare con l’ingombro di un frangiflutti. Bastava prevedere che le navi problematiche come la Jolly Nero facessero manovra a motori spenti, soltanto coi i rimorchiatori”.
E i poteri per farlo erano in mano ad Angrisano. Ma non solo…

Le false certificazioni del RINA

Un terzo filone d’inchiesta che si è aperto dopo il crollo è quello delle false certificazioni rilasciate dal RINA, il Registro italiano navale che è l’ente classificatore e che “aveva concesso alla Jolly Nero un certificato per cui poteva navigare con la macchina non presidiata”.
Ma cosa significa?
“Che non era necessario che ci fosse qualcuno in sala macchine a controllare che tutto funzionasse”, mette a fuoco Bulgheroni che richiama alla mente come quella notte il cargo della Compagnia Messina “aveva il contagiri che non funzionava e quindi bisognava passare i comandi in macchina”.

Questo non è successo e oggi contiamo nove vittime abbattute da una carretta del mare.

Le responsabilità dell’armatore

In campo navale esiste un codice Internazionale per la Gestione della Sicurezza delle navi per cui, se un armatore mette in mano a un capitano una carretta del mare, deve risponderne.
Ma in questo caso non è successo e l’unico dipendente della Compagnia Messina sotto processo, cioè l’addetto all’armamento Giampaolo Olmetti, è stato assolto in appello.

“Sia noi che la Procura Generale di Genova, che il PM, abbiamo ritenuto che Olmetti fosse il filo rosso di collegamento tra l’equipaggio e l’armatore”, dice Bulgheroni sottolineando che la Jolly Nero aveva già avuto problemi ai motori in altre 3 occasioni, “a conferma che è stato omesso il controllo e per questo è aperto un ricorso in Cassazione”.

“In un mondo migliore avremmo avuto un unico processo con Messina sul banco degli imputati, con il RINA sul banco degli imputati, con la Capitaneria e l’Autorità Portuale sul banco degli imputati, tutti insieme a distribuirsi le responsabilità”, conclude Bulgheroni che poi aggiunge con una punta di amarezza: “Ci sono tante cause che hanno contribuito al crollo della torre e qualcuno probabilmente resterà impunito. E questo crediamo non sia assolutamente giusto”.

Simona Tarzia

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.