Da oggi finiscono in carcere i 9 ‘ndranghetisti liguri condannati in via definitiva dalla Cassazione
Genova – È arrivata ieri dalla Cassazione la conferma delle condanne per nove imputati dell’inchiesta Maglio 3, sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Liguria.
Gli Ermellini hanno dunque confermato la pena a sei anni ciascuno, per associazione a delinquere di stampo mafioso, per Benito Pepè, Michele Ciricosta, Fortunato Barilaro e Francesco Barilaro.
Condannato a sette anni e nove mesi Onofrio Garcea, a quattro anni e otto mesi Rocco Bruzzaniti, Antonino Multari e Lorenzo Nucera e, infine, a tre anni e un mese Raffaele Battista.
Le prove che non hanno convinto giudici genovesi
Da questa costola dell’operazione “il Crimine”, la maxi indagine che aveva scoperchiato le ramificazioni della ‘ndrangheta in Lombardia, erano scattati gli arresti anche in Liguria ma dopo le due assoluzioni, nel rito ordinario e in appello, i presunti boss erano stati tutti scarcerati. Le intercettazioni ambientali che avevano registrato le riunioni ‘ndranghetiste, gli aiuti ai latitanti e gli appoggi elettorali a politici conniventi, infatti, non avevano convinto i giudici genovesi.
L’appello bis imposto dalla Cassazione
Il ragionamento dei giudici genovesi era stato concorde: senza reati fine acclarati, e parliamo di omicidi, estorsioni, e incendi, non c’era esercizio reale del potere mafioso.
Un ragionamento sbagliato secondo la Cassazione che aveva stabilito come la prova degli elementi che caratterizzano il reato di 416-bis si potessero desumere già solo dalla presenza di alcuni indici rivelatori del fenomeno mafioso tipo la segretezza del vincolo, i rapporti di comparaggio tra gli affiliati, l’uso di rituali per l’affiliazione o per la promozione degli accoliti, il rispetto del vincolo gerarchico, l’uso di un linguaggio criptico, e dunque aveva annullato la sentenza di assoluzione della Corte d’Appello di Genova con rinvio, disponendo, cioè, un appello-bis.
E in effetti la capacità di intimidazione della ‘ndrangheta si esercita, anche al di fuori della Calabria, “in modo silente, cioè senza ricorrere a forme eclatanti”, poiché implicitamente legata al semplice vincolo di appartenenza del soggetto a un’organizzazione dalla reputazione così violenta.
A rafforzare la tesi della presenza dell’organizzazione in Liguria, questa la tesi della Cassazione, bastavano anche le sentenze di condanna emesse in Calabria e in Basso Piemonte, che erano arrivate con gli stessi atti di indagine in mano ai magistrati genovesi.
Da oggi tutti in carcere
Infine, dopo un lungo percorso giudiziario iniziato il 27 giugno 2011, i Carabinieri del ROS e dei Comandi Provinciali di Genova, Imperia e Massa Carrara, hanno eseguito oggi l’ordine di carcerazione, emesso dalla Procura Generale della Repubblica di Genova, nei confronti dei 9 soggetti condannati in via definitiva per il delitto di associazione di tipo mafioso.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.