Genova – È un intervento epocale per il porto di Genova, un’opera mastodontica seconda per costi stimati soltanto alla gronda. Eppure il dibattito pubblico di presentazione delle tre soluzioni di progetto per la nuova diga foranea è stato compresso in venti giorni, dal 9 al 29 gennaio, e con soli quattro incontri di due ore aperti al pubblico. Otto ore in totale per capire come l’infrastruttura andrà a impattare sulla vita della città. Otto ore per passare da un concetto astratto al concreto del territorio. Otto ore, e il dente dolorante della democrazia diretta toglie il disturbo.
Sì, perchè l’impressione è che l’opinione pubblica sia stata coinvolta non tanto per avviare un dialogo attivo ma solo perchè lo prevedono le norme del DPCM 76/2018 che ha introdotto, appunto, il débat public nel Nuovo codice degli appalti.
Posto che questo decreto prevede fino a quattro mesi di confronto, “portare a un dibattito pubblico un tema così complesso e di dimensione così ampia, avrebbe dovuto comportare tempi molto più lunghi e interventi effettuati non attraverso convegno ma con incontri prima preparatori e poi specifici su ogni argomento. Come si fa in tempi così ristretti a farsi un’idea di qualcosa che anche i progettisti specializzati hanno certamente dovuto studiare a lungo?”. È perplesso Mauro Marsullo, architetto esperto di mobilità sostenibile e riqualificazione urbana che tiene a precisare come “siano tantissimi i temi che questo progetto va a intercettare, da quello logistico a quello ambientale”, e invece “stupisce che il dibattito pubblico sia stato incentrato sul far scegliere ai cittadini da quale parte entrare con le navi”.
Una visione limitata dunque, che “non ha saputo mettere sul tavolo una strategia di gestione del rapporto città-porto che potesse dare ai cittadini, coloro che le scelte le vivono o le subiscono, l’indicazione di una pianificazione un po’ più estesa, non circoscritta al progetto ma allargata agli ambiti che si vanno a modificare o sui quali si interviene, e che facesse capire cosa avverrà nella Genova del 2030 o del 2040”. E subito vengono in mente i 2,5 milioni di TEU che secondo le previsioni del raggruppamento di imprese che ha vinto il bando Invitalia lo scalo genovese andrebbe a movimentare entro il 2035. Una valanga sulla viabilità cittadina che nel dibattito non ha trovato il giusto spazio.
Anzi, gli scenari del dossier diga si muovono come se la Gronda di Ponente fosse bell’e pronta.
Altro che patto tra porto e città, “questo è un dialogo per compartimenti stagni, come se quello che accade all’interno del porto non avesse ripercussioni sul territorio”, commenta Marsullo lasciandoci la sensazione che i giochi siano fatti.
Un film che il Ponente e la Valpolcevera hanno già visto.
Ma c’è qualcos’altro che getta un po’ d’ombra sul dibattito pubblico. Sono le segnalazioni della chiusura anticipata di form e mail per l’invio delle osservazioni ai progetti che Fivedabliu ha ricevuto ieri. Per questo abbiamo inviato un messaggio anche noi, vuoto, per capire cosa stesse succedendo dato che di norma la scadenza per spedire i documenti è intesa alla mezzanotte dell’ultimo giorno utile, e quindi del 4 febbraio. Risultato? Account disattivato. Al suo posto si chiedeva di contattare un numero di cellulare. Spento.
Viva la partecipazione.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.