L’Ue accelera sull’esercito comune: sarà attivo già nel 2023

Il Generale Bertolini: “La guerra ha bisogno di massa e giovani”

“Gli investimenti per la Difesa sono importanti e funzionali ai nostri beni più preziosi, la sicurezza, presupposto imprescindibile per la pace, giacché la capacità di deterrenza è fondamentale per preservare i valori fondamentali della nostra società e le conquiste delle nostre democrazie, recentemente drammaticamente messe a repentaglio dalla sanguinosa invasione dell’Ucraina”.
La  dichiarazione è del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, nel suo intervento alla cerimonia per i 99 anni dell’Aeronautica militare.

Parrebbe che il conflitto tra Russia e Ucraina abbia accelerato un processo già ampiamente in atto da diversi anni e in parte bloccato, o rallentato, dalla pandemia, di creazione di una forza militare europea con sede del comando a Bruxelles.

Alla dichiarazione di Guerrini possiamo affiancare quelle del Generale Marco Bertolini, in congedo dal 2016 dopo una carriera prestigiosa a capo del Covi – il Comando Operativo Vertice Interforze – e della Folgore, e con incarichi al vertice di delicate missioni internazionali tra Afghanistan, Libano, Somalia, Bosnia e Kosovo, rilasciate in un’intervista di Annalisa Chirico per “Il Foglio”. Il  generale ha dichiarato che le forze Armate “sono uno strumento di affermazione della sovranità di un Paese” e ha aggiunto che “a partire dalla caduta del Muro, con la fine della Guerra fredda, è invalsa l’idea che la guerra non fosse stata semplicemente ripudiata ma abolita dall’articolo 11 della Costituzione. Adesso, con la crisi ucraina, ci rendiamo conto che la guerra continua a mietere vittime, così anche quanti, fino a ieri, indossavano i panni dei pacifisti, ora sembrano pronti ad andare al fronte”.

Il Generale Bertolini: “La guerra ha bisogno di massa e giovani”

E per sfatare il mito che le posizioni più equilibrate nel conflitto in Uncraina siano quelle “dei generali” come si legge spesso sui social, Bertolini, alla domanda su “quali sono le principali carenze delle nostre forze armate” risponde molto chiaramente che “c’è un problema di numeri e armamenti. Anzitutto, negli anni, proprio a causa della tara ideologica antimilitarista, si è passati dalle 300 mila unità dell’esercito di fine anni Ottanta alle dimensioni attuali, sotto le 90 mila. Con la retorica della pace il mestiere del soldato è diventato una mera opportunità lavorativa, spesso adibito a compiti che poco hanno a che vedere con la difesa vera e propria. Va bene puntare sui professionisti ma la guerra ha bisogno anche di massa e giovani. Noi abbiamo un esercito di gente che invecchia, perlopiù cinquantenni con famiglia, impiegati come assaltatori e fucilieri. L’idea di sopperire alla quantità con la qualità contraddice i princìpi dell’arte della guerra”.

Militarizzazione, un processo che inizia ben prima della guerra in Ucraina

E per chi ha avuto modo di leggere anche solo la prefazione del Ministro Lorenzo Guerrini nella “Direttiva per la politica industriale della difesa”, le parole del generale Bertolini trovano un riscontro ben precedente alla guerra in Ucraina e segnano un processo di progressiva militarizzazione non solo dell’Italia ma di tutte le principali potenze europee.
“L’Italia attraversa una stagione geopolitica di grande complessità̀, molti dei cui effetti si manifestano nelle aree di preminente interesse nazionale, che si interseca anche con un passaggio di evoluzione generazionale e di globalizzazione della tecnologia. L’attuale scenario di crescente competizione tra gli Stati si esprime sempre di più anche mediante la dimensione industriale e tecnologica della politica estera e di difesa, evidenziando come una base industriale solida e tecnologicamente avanzata a supporto dello Strumento militare non costituisca soltanto una leva economica, ma assuma una valenza geostrategica per il Paese, a tutela della sua sovranità tecnologica”.

È questo un aspetto determinante anche nel processo di integrazione della difesa europea, finalmente avviato in uno scenario di competitività globale e crescente affermazione delle identità nazionali, in cui la dimensione industriale della difesa assume una primaria rilevanza geopolitica, fungendo, soprattutto negli accordi tra governi, da fattore catalizzante delle cooperazioni con altri Paesi e del rafforzamento del ruolo internazionale dell’Italia.

La possibilità per l’Italia di disporre di uno Strumento militare in grado di esprimere le capacità militari evolute di cui il Paese necessita per tutelare la propria sicurezza e i propri interessi nazionali non può quindi prescindere da un adeguato vantaggio tecnologico e da una capacità industriale in grado di presidiarlo e innovarlo.

L’industria dell’aerospazio, difesa e sicurezza rappresenta una delle più competitive realtà industriali italiane, in particolare nel campo dell’innovazione tecnologica.
Un patrimonio di conoscenza e occupazione qualificata in grado di coniugare essenziali aspetti di sicurezza e proiezione internazionale del Paese con un effetto trainante per l’economia nazionale, in cui risiede una parte importante della sovranità dell’Italia e della sua appartenenza alla cerchia dei Paesi tecnologicamente ed economicamente avanzati, condizione necessaria per preservare libertà, sicurezza e prosperità”.

Verso la Difesa Europea

Ma il passaggio forse più interessante di questa direttiva del 2021 è il capitolo intitolato “Verso la difesa europea“ riguardante il ruolo dell’Italia nel contesto internazionale e più segnatamente in quello europeo:

“Per affrontare le sfide presenti e future, l’Italia dovrà saper promuovere e sviluppare sinergie internazionali sul piano politico e industriale, riaffermando il valore della partnership politico-militare quale acceleratore di stabilità e sicurezza da un lato, di competitività industriale e di sviluppo economico dall’altro.
La prospettiva della Difesa italiana e del comparto industriale non può prescindere dallo sviluppo di capacità militari comuni in ambito europeo, cogliendo le opportunità offerte dalla Cooperazione Permanente Strutturata (PESCO) e dal Fondo Europeo per la Difesa (EDF).
Si tratta di un passaggio essenziale per porre l’Europa nella condizione di far fronte alla sfida dell’avanzamento tecnologico e della competitività globale dell’industria dell’aerospazio, difesa e sicurezza, i cui esiti si ripercuoteranno sul mantenimento della superiorità militare dell’Occidente ai fini della sicurezza e della stabilità, ma anche sulle prospettive future di autonomia strategica, sovranità tecnologica e sviluppo economico”.

Anche Ursula von der Leyen nel settembre del 2021 aveva accennato al piano di difesa europeo, l’Expedition force, per fornire all’Europa un contingente di 6.000 soldati (numero risibile) che possa intervenire tempestivamente nei teatri operativi. La sede del quartier generale potrebbe essere Bruxelles e il comando del nuovo esercito europeo avrebbe durata triennale. Il nuovo esercito prevedrebbe il coinvolgimento della marina e dell’Aeronautica, fondamentali per raggiungere velocemente tutti i luoghi del potenziale intervento.
A questi si dovrebbe aggiungere una componente integralmente dedicata alla “Cyber-guerra” e una allo “spazio”. Due settori dei quali nel terzo millennio nessun esercito può fare a meno.

Gli europei si aspettano che l’Ue garantisca pace e sicurezza

In un recente sondaggio il 96% degli intervistati per Eurobarometro 2021 sostiene che difendere il valore della democrazia dovrebbe essere la massima priorità del Parlamento europeo. Un terzo degli intervistati (32%) considera la democrazia il valore più importante da difendere, seguita dalla libertà di parola e di pensiero (27%) e dalla protezione dei diritti umani (25%). In termini di priorità politiche, i cittadini mettono al primo posto la salute pubblica con il 42%, seguita dalla povertà e dall’esclusione sociale (40%) e dai cambiamenti climatici (39%). L’indagine mostra anche il continuo forte sostegno pubblico al Parlamento europeo, con il 58% che sostiene un ruolo più importante per il Parlamento in futuro. Nel 2017 il 75% degli europei era a favore ad una politica di sicurezza e di difesa comune dell’UE. Più della metà, il 55%, era a favore della creazione di un esercito europeo. Nel 2018 il 68% degli europei ha dichiarato di voler che l’Unione faccia di più in materia di difesa. La stessa percentuale si riscontra anche considerando le risposte dei soli cittadini italiani.

Macron: l’unione fa la forza

I leader europei hanno capito che nessuno stato membro può far fronte da solo alle minacce alla sicurezza. Il Presidente francese Emmanuel Macron, il 26 settembre del 2017 a Bruxelles, nell’ambito delle iniziative per l’Europa, aveva pronunciato un discorso dove il futuro dell’Ue doveva prevedere un’Unione sovrana, unita e democratica. Il discorso di Macron, articolato su sei punti principali che riguardavano la sfida migratoria, i rapporti con Africa e Mediterraneo, lo sviluppo sostenibile, la regolamentazione del mondo digitale e gli equilibri comunitari economici e monetari, aveva al primo posto la difesa e la sicurezza.

“In termini di difesa, l’Europa deve dotarsi di una forza di intervento comune, di un bilancio comune per la difesa e di una dottrina comune per l’azione. È importante incoraggiare l’istituzione quanto prima del Fondo europeo per la difesa e della cooperazione strutturata permanente e integrarli con un’iniziativa di intervento europea che permetta di integrare meglio le nostre forze armate in tutte le fasi. Nella lotta al terrorismo, l’Europa deve riunire le nostre capacità di intelligence creando un’Accademia europea di intelligence. La sicurezza deve essere assicurata, insieme, in tutte le sue dimensioni: l’Europa deve essere dotata di una forza di protezione civile comune”.
Anche Angela Merkel, nel 2018, si era espressa in termini positivi sulla creazione di una forza militare europea.
“Dobbiamo lavorare con la prospettiva di istituire un giorno un vero e proprio esercito europeo”, aveva detto.

Bussola strategica: l’esercito comune attivo già dal 2023

Con l’approvazione della Bussola strategica, l’Europa ha messo nero su bianco il suo piano per la difesa. Innanzitutto si parte con l’istituzione delle forze di schieramento rapido dell’Ue composte da 5 mila soldati europei, per far fronte alle crisi. Non solo: vengono “arruolati” anche 200 esperti in missioni di politica di difesa e sicurezza comune.
Entro il 2023 ogni Stato membro doveva essere in grado di allestire entro 60 giorni un contingente da 50-60mila uomini, pronti ad effettuare per un anno missioni in luoghi di crisi.
Le esercitazioni dovrebbero avvenire in modo regolare dal 2023, per garantire la disponibilità delle truppe entro il 2025. In più, l’Unione Europea si impegna a condurre esercitazioni dal vivo a terra e in mare con regolarità, a migliorare la mobilità militare, a rafforzare le missioni e le operazioni della Politica comune di difesa e di sicurezza e, infine, ad adottare un processo decisionale più rapido e più flessibile. Secondo la Bussola Strategica, le azioni europee saranno più solide e potranno contare sul Fondo europeo per la pace per sostenere gli Stati membri.

La disastrosa ritirata da Kabul e dall’Afghanistan delle “forze di pace” con il dramma umanitario di dimensioni apocalittiche che ne è seguito, e poi l’intervento di Putin in Ucraina, hanno dato dunque una forte accelerazione al progetto militare dell’Unione europea, che non nasconde anche la volontà di prendere le distanze dall’influenza della NATO che ha come capofila gli Stati Uniti, ottimo partner commerciale ma discutibile alleato militare negli ultimi 20 anni.

I  Trattati impediscono a Bruxelles di utilizzare il budget comunitario per motivi bellici

È da domenica 27 febbraio che l’UE, per la prima volta nella sua storiaha iniziato a esportare armi.
Non era mai accaduto e il perchè ce lo spiega l’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale: “i Trattati impediscono a Bruxelles di utilizzare il budget comunitario per motivi bellici”.

La European Peace Facility

Ma si sa, fatta la legge trovato l’inganno. E così i Ministri dell’UE “hanno aggirato il divieto attivando uno strumento esterno al budget, la European Peace Facility, che può mobilitare fino a 5 miliardi di euro per aiuti militari”, chiarisce l’Ispi aggiungendo che “500 milioni sono stati immediatamente utilizzati per inviare armi sul fronte ucraino”.
Una svolta che riflette l’eccezionalità per l’UE e i suoi Stati Membri della crisi ucraina, che il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha definito “un momento storico per il nostro continente”.

La Germania alla svolta storica sugli aiuti militari

E proprio la Germania ha iniziato lo scorso 26 febbraio un nuovo capitolo della propria storia. Negli ultimi settant’anni il governo tedesco non aveva mai esportato armi verso zone di conflitto, un impegno durato fino a qualche giorno fa, quando il Paese ha ribaltato la sua politica con il sostegno militare al governo di Kiev. Su questa scia, ventiquattro ore dopo, Berlino ha anche annunciato un aumento della spesa militare in modo da raggiungere l’obiettivo interno alla NATO del 2% del Pil. A questo contribuirà uno stanziamento massiccio per le spese militari: si parla di 100 miliardi di euro.

Una svolta per la storia della politica estera e di difesa europea

“Già negli ultimi anni c’era stato, in particolare dopo la Brexit e dopo l’invasione russa della Crimea, un incremento delle spese militari e l’adozione, a livello europeo, di nuovi strumenti come la PESCO, la Cooperazione Strutturata Permanente dell’UE”, chiarisce Fabrizio Coticchia, docente di Studi sulla sicurezza, Terrorismo e Peacekeeping dell’Università di Genova.
Ma quello cui assistiamo adesso “è qualcosa di molto diverso. Un paese come la Germania, molto restio e prudente all’investimento in affari militari, ha annunciato un incremento notevole di spesa”. E pensate che mentre l’Italia nel 2021 ha autorizzato 41 missioni militari, Berlino ne aveva approvate 50 negli ultimi 30 anni.
“Servirà tempo per valutare l’impatto nel lungo periodo, dal punto di vista sia del potenziamento dei mezzi militari dell’Ue, con l’acquisizione di nuovi armamenti, sia soprattutto in relazione alla capacità di adottare lo stesso tipo di interesse e preferenze, che finora all’interno dell’Unione Europea sono state molto diverse. Quello che possiamo vedere è forse un cambio di paradigma nella modalità con la quale l’Unione, quindi l’istituzione europea, ma anche gli Stati membri hanno affrontato gli affari militari e stanno affrontando gli affari militari dedicando un’attenzione prioritaria al tema della dimensione puramente bellica, puramente militare”.

Cedere la Difesa significa cedere la sovranità

“Si tratta di uno strumento impiegato per fornire assistenza, in questo caso è stato utilizzato per dare assistenza militare, che rientra nel quadro dei nuovi strumenti dei quali si è dotata l’Unione Europea per incrementare la propria capacità di difesa”, dice ancora Coticchia.
Ma “al di là dell’impiego di strumenti emergenziali, bisognerà vedere se l’unione europea deciderà di investire nel medio e lungo periodo in affari militari e nuovi equipaggiamenti. Quello che dobbiamo tenere in considerazione è che la differenza a livello di capacità fra i paesi europei e gli Stati Uniti, dal punto di vista della difesa collettiva, è considerevole e quindi servirebbero molti più investimenti e una congiunzione diversa a livello di preferenze e interessi dei vari paesi”.

Il fatto è che ad oggi nell’Unione Europea non esiste un consiglio dei ministri della Difesa, e non esiste, precisa Coticchia, “perché a difesa, insieme all’intelligence, è il cuore della sovranità. Se uno cede la difesa, cede la sovranità. Non vogliamo cederla. Non abbiamo voluto cederla. Finora”.
E dunque è prematuro parlare di operazioni di peacekeeping dell’unione europea perché se è vero che “nel nuovo secolo l’Unione europea ha impiegato operazioni militari, e l’Italia ad esempio ha fornito un contributo, si tratta, con alcune eccezioni come le operazioni navali nel Mediterraneo e quelle al largo della Somalia che sono state molto rilevanti, di operazioni tendenzialmente più limitate. Le operazioni di peacekeeping tendenzialmente vengono fatte all’interno del quadro Onu, come la missione in Libano dove l’Italia fornisce un ruolo centrale, le missioni invece dove è cruciale la dimensione militare sono state gestite finora dalla NATO. Quindi aspettiamo di vedere se anche l’Unione Europea svilupperà missioni di questo tipo, ma come dicevo dipende da una volontà politica comune e dall’elaborazione di una politica estera comune”.

fp

Fabio Palli

Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.