Latitante negli Emirati Arabi dal 2013, l’ex parlamentare di Forza Italia è stato graziato dalla non giustizia italiana
Reggio Calabria – Dopo nove anni di latitanza, a sistemare le cose per Amedeo Gennaro Raniero Matacena ci ha pensato il Tribunale di Reggio Calabria che il 4 agosto scorso, con il parere contrario della direzione distrettuale antimafia, ha revocato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nell’ambito dell’inchiesta “Breakfast” e ha annullato il mandato di cattura che pendeva sulla sua testa per intestazione fittizia dei beni e per avere favorito la ‘ndrangheta.
Condannato in via definitiva nel 2014 per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo “Olimpia”, l’ex parlamentare di Forza Italia che si “nasconde” a Dubai e non ha passato in cella neppure un giorno, potrà anche riavere suoi beni, premiato dalla latitanza e dalle lungaggini della procedura di estradizione che di fatto hanno annullato il requisito dell’attualità che la normativa impone per le esigenze cautelari.
Lo ha messo nero su bianco la gip del tribunale reggino, Vincenza Bellini, che ha disposto la revoca del sequestro preventivo motivandola con “il lungo tempo trascorso dalla data di commissione dei reati contestati all’ex parlamentare, dall’esclusione in fase cautelare della contestata aggravante mafiosa e dall’esito assolutorio, ancorché non definitivo, del giudizio di primo grado che si è celebrato nei confronti dei coimputati”. All’ex moglie, Chiara Rizzo, già sono stati restituiti i beni perché il Tribunale li ha ritenuti di provenienza lecita.
E qui il meccanismo si intoppa.
Tanto che per salvaguardare il merito del processo d’appello che inizierà a settembre e che vede alla sbarra l’attuale sindaco di Imperia, Claudio Scajola, condannato in primo grado a due anni con la condizionale per avere favorito la latitanza dell’ex deputato di Forza Italia, la gip ha dovuto confermare il “giudizio di gravità indiziaria nonostante il lungo tempo trascorso dalla data del commesso reato”.
Un pasticcio all’italiana? Non per Matacena che tramite l’ANSA ringrazia “mia moglie e i miei avvocati, Renato Vigna e Marco Tullio Martino, perché grazie al loro impegno è stata revocata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nell’ambito dell’inchiesta Breakfast ed è caduto anche l’ultimo sequestro dei miei beni che adesso tornano nella mia disponibilità”, e ricorda che è ancora pendente il suo ricorso davanti alla Corte di Strasburgo: “Adesso manca solo la ciliegina sulla torta: la sentenza della Corte Europea. Giustizia, dopo tanta ingiustizia, sarà fatta”.
Anche se non sappiamo quale sarà la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, una cosa è certa: il rischio di estinzione della pena per mancata esecuzione è ormai diventato realtà. Secondo la legge, dopo dieci anni dalla condanna irrevocabile la pena si estingue. Mancano 10 mesi e poi Matacena riuscirà a restare libero.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.