Sistema carcerario al “collasso”. La Danimarca punta al “rifugiati zero”
L’Europa si allarga e c’è chi brama per entrare in “paradiso” e fare affari con le democrazie occidentali.
La Danimarca, che sta applicando una serie di riforme strutturali al suo sistema carcerario, prende la palla al balzo e apre un programma per togliersi dal territorio un po’ di migranti condannati per reati vari.
La delocalizzazione dei carcerati fa parte di un programma più esteso di controllo europeo dei flussi migratori in cui anche l’Italia ha fatto e farà la sua parte, soprattutto in Libia dove mafia e criminalità libica hanno già fatto affari.
Hot spot
Ma nei casi come il centro di detenzione Zawiya, in Libia occidentale, ricavato da un’ex base militare collocata in zona strategica tra il porto e le raffinerie della città che lo ha reso perfetto per per gestire sia il traffico di gasolio che quello di esseri umani, i migranti dovevano ancora varcare la soglia europea e i provvedimenti venivano presi a monte con hot spot volanti che servivano a stabilire chi scappava dalla guerra e chi era migrante economico.
Una delocalizzazione gradita trasversalmente
Ma per rimanere nel merito della delocalizzazione dei detenuti, nel 2021 il Paese scandinavo ha pagato il Kosovo per ospitare 300 detenuti nelle carceri del paese balcanico. Il governo danese ha affermato che la misura riguarda gli stranieri che sarebbero comunque stati espulsi dalla Danimarca una volta completata la pena. L’accordo è stato sostenuto trasversamente prima di essere annunciato dal ministero della Giustizia danese, Nick haekkerup, che ha voluto sottolineare che il provvedimento serve anche a garantire migliori condizioni di lavoro per gli agenti penitenziari.
I dati sulla situazione carceraria in Danimarca
I dati sulla situazione carceraria in Danimarca alla fine del 2021, un anno fa circa, hanno evidenziato una crescita dei detenuti del 19% dal 2015. Attualmente le carceri ospitano oltre 4.000 reclusi in una nazione di 5,8 milioni di persone. Allo stesso tempo, il numero delle guardie carcerarie sta diminuendo e si prevede che il paese avrà una carenza di 1.000 unità entro il 2025.
A questa situazione, secondo le fonti del Governo danese, vanno aggiunti gli investimenti necessari per costruire carceri di massima sicurezza per i criminali recidivi, problema recente in un paese in cui la maggior parte dei detenuti sconta la pena nelle cosiddette prigioni aperte, che sono strutture che ospitano persone condannate a pochi anni di reclusione e che consentono a chi è ristretto di indossare i propri vestiti e cucinare i propri pasti. Molte delle carceri non hanno un classico perimetro di sicurezza composto da recinzioni e torrette. Anche i detenuti ricevono visite frequenti e possono richiedere un congedo temporaneo.
I migranti in Danimarca
In Danimarca, le domande d’asilo, lo scorso anno, sono state quasi 1600.
Il Primo ministro, la socialdemocratica Mette Frederiksen, ha nella sua visione politica un futuro a “rifugiati zero” perchè “solo così preserveremo la nostra coesione sociale”.
E forse è proprio grazie al programma “zero immigrati” che pochi giorni fa Mette Fredericksen è riuscita, benchè con una vittoria risicata, a farsi rieleggere. Il progetto politico anti migranti prevede il trasferimento dei clandestini in Ruanda grazie a un accordo economico con il paese africano, la delocalizzazione dei condannati a Gjilan in Kosovo e il ritiro dei permessi di soggiorno ai migranti provenienti da paesi in guerra in cui non ci siano più situazioni di conflitto.
Ruanda e Kosovo
Le trattative con il Ruanda sono ancora in corso e quindi non si sa il valore dell’accordo, ma per il Kosovo il canone di affitto per le prime 300 celle, che saranno disponibili a partire da gennaio 2023, è di 15 milioni di euro, oltre ad una somma iniziale di cinque milioni destinata ad effettuare i lavori necessari all’adeguamento del penitenziario.
Ma il Governo danese sta spingendo anche per la costruzione di centri di accoglienza direttamente nei paesi da cui partono i flussi migratori come Tunisia Etiopia e Egitto.
Una proposta nel principio simile a quella fatta da Giorgia Meloni nel suo discorso di insediamento, dove il neo Presidente del Consiglio italiano ha auspicato che la selezione tra i richiedenti asilo e i migranti economici venga fatta direttamente in hub offshore per evitare che la facciano arbitrariamente gli scafisti.
Dichiarazione che ha sollevato lo sconcerto della sinistra in Parlamento che forse ha scordato che Enrico Letta e il PD, in Europa, fanno parte dello schieramento della leader danese Fredericksen.
Ma va fatto anche un ragionamento sul ruolo della Danimarca in Europa
La Danimarca, membro del Consiglio d’Europa, è parte della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo, inoltre ha sottoscritto la Convenzione dell’ONU per la prevenzione della tortura ed è vincolata al rispetto delle Nelson Mandela Rules le quali prevedono il diritto dei detenuti di comunicare con le loro famiglie ad intervalli regolari e che quindi devono essere assegnati a istituti penitenziari che siano il più possibile vicini alle loro case. Ancora, essendo un membro dell’UE, la Danimarca ha l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali stabiliti dalla Carta dei diritti il cui articolo 4, in conformità dell’articolo 3 della Convenzione Europea prevede che «nessuno può essere sottoposto a tortura, o a pene o trattamenti inumani o degradanti».
E su questi punti è stata fatta un’interrogazione:
“Accordo tra Danimarca e Kosovo per il trasferimento di detenuti
10.2.2022
Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-000607/2022
alla Commissione
Articolo 138 del regolamento
Pietro Bartolo (S&D), Giuliano Pisapia (S&D), Pina Picierno (S&D), Pierfrancesco Majorino (S&D), Massimiliano Smeriglio (S&D), Brando Benifei (S&D), Patrizia Toia (S&D), Camilla LAURETI (S&D), Alessandra Moretti (S&D)
Il 20 dicembre la Danimarca e il Kosovo hanno sottoscritto un accordo che prevede che la Danimarca trasferisca nella prigione di Gjilan in Kosovo i detenuti stranieri, condannati in via definitiva. L’accordo è rinnovabile per cinque anni, a partire dal primo trimestre del 2023 per una somma annuale di 15 milioni di euro oltre a un primo versamento di 5 milioni per le spese relative all’adattamento dei locali”.
Il Kosovo non è un membro né dell’UE né del Consiglio d’Europa e non è parte delle convenzioni promosse da tale organismo, non è quindi obbligato a conformarsi all’aquis (https://www.aquis.eu) dell’UE e alla giurisdizione della CEDU. Inoltre, le condizioni di detenzione in Kosovo sono ritenute dagli organismi internazionali lesive dei diritti fondamentali.
L’accordo è il frutto di un pericoloso approccio all’esecuzione penale, teso al risparmio di risorse e noncurante dello scopo rieducativo della pena e dell’idea di sanzione rispettosa dei diritti fondamentali e della dignità umana. Tale accordo crea, inoltre, un pericoloso precedente nello spazio giuridico europeo.
Considerato quanto precede:
- non ritiene la Commissione europea che tale accordo violi i diritti fondamentali, e in particolare l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali?
- quali azioni intende intraprendere la Commissione per verificare l’impatto di tale accordo?”.
Risposta di Olivér Várhelyi a nome della Commissione europea
5.5.2022
La Commissione ricorda che ai sensi del suo articolo 51, paragrafo 1, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea si applica agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Poiché l’accordo in questione consiste in un accordo bilaterale tra uno Stato membro e un paese terzo, la Commissione invita gli onorevoli deputati a rivolgersi allo Stato membro interessato per ulteriori dettagli. In tali casi spetta agli Stati membri, e alle rispettive autorità giudiziarie, garantire che i diritti fondamentali siano effettivamente rispettati e tutelati in conformità della legislazione nazionale e degli obblighi internazionali in materia di diritti umani, compresi quelli derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il Kosovo non è membro né dell’UE né del Consiglio d’Europa
Il Kosovo non è membro né dell’UE né del Consiglio d’Europa e non è neanche parte delle convenzioni promosse da tale organismo; non è quindi obbligato a conformarsi alla giurisdizione della CEDU. Si tratta di un paese instabile che non può garantire pienamente il rispetto dei diritti umani dei detenuti in quanto non giuridicamente vincolato agli obblighi previsti dai trattati vigenti.
Da queste considerazioni si può ben percepire la pericolosità di un accordo di questo genere. L’intesa infatti crea uno scenario problematico e provoca gravi conseguenze e preoccupazioni dal punto di vista dei diritti fondamentali.
Ma la strada verso la delocalizzazione dei detenuti è aperta e il prossimo ingresso di alcuni paesi dell’area balcanica in Europa ne faciliterà lo sviluppo
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