La Corte costituzionale dell’Ecuador ha negato l’azione protettiva richiesta dalla compagnia petrolifera Chevron. Questa azione aveva lo scopo di delegittimare la pena emessa nel 2011 dalla Corte di Giustizia ecuadoriana, la cui sentenza condannò l’impresa a pagare 9,5 miliardi di dollari di risarcimento per contaminazione ambientale dell’Amazzonia ecuadoriana, nella zona del Lago Agrio, nel nordest dell’Ecuador. Lo storico verdetto nega il tentativo della compagnia di eludere la propria responsabilità legale per la riparazione delle aree contaminate.
La decisione della Corte è stata notificata martedì 10 luglio, giornata in cui è stata resa ufficialmente pubblica la risoluzione, datata 27 giugno, del contenzioso. Con questa risoluzione si esauriscono tutte possibilità di ricorso legale in Ecuador per questo processo.
È in un ampio documento di 151 pagine che la Corte Costituzionale illustra le ragioni che la hanno portata a “dichiarare che – nella sentenza del 2011 – non v’è alcuna violazione dei diritti costituzionali” e dunque a ritenere di “negare l’azione protettiva straordinaria” presentata da Chevron Corp.
“Questa sentenza è un grande passo per l’accesso alla giustizia”, ha dichiarato Willian Lucitante, coordinatore esecutivo dell’Unione delle Vittime di Texaco-Chevron (UDAPT), l’organizzazione che, riunendo più di 30.000 persone tra indigeni e contadini, ha dato il via al processo legale contro la compagnia nel 1993, accusandola di avere contribuito a distruggere 1.700 miglia quadrate di foresta pluviale.
“Dopo 25 anni di lotta, possiamo finalmente chiudere questo capitolo. Stiamo compiendo dei passi significativi perché giustizia sia fatta”, ha detto il leader della UDAPT. Secondo Lucitante, ora Chevron non potrà più sostenere in altre giurisdizioni che la sentenza del 2011 non può essere portata in aula perché il processo in Ecuador non è ancora terminato. Avendo Chevron ritirato ogni risorsa economica dal Paese, le vittime sono state infatti obbligate a ricorrere a Corti di altri Stati in cui la compagnia possiede capitali per poter ottenere la cifra imposta dal tribunale ecuadoriano destinata alle opere di bonifica ambientale.
L’impresa non potrà più, perciò, ostacolare la richiesta di omologazione della sentenza in Corti straniere utilizzando questi argomenti.
Donald Moncayo, vice coordinatore dell’UDAPT e rappresentante delle comunità di contadini colpite dall’inquinamento, ha sottolineato che non si tratta di una vittoria solo per l’organizzazione, ma per centinaia di associazioni e milioni di cittadini nel mondo che lottano per difendere la vita e l’accesso alla giustizia. Egli ha ribadito che questi 25 anni hanno segnato un profondo cambiamento, non solo per l’UDAPT, ma anche per le lotte sociali che hanno preso questo caso come un esempio per svelare le strutture di impunità di cui godono le imprese transnazionali.
“Questo caso non riguarda solo la Chevron”, ha detto Moncayo, “ma stabilisce un precedente per giudicare le aziende che, di solito con la complicità degli Stati, commettono crimini ambientali contro gli esseri umani. Si tratta di una vittoria contro il sistema di ingiustizia e impunità corporativa che opera in tutto il mondo”.
Pablo Fajardo, avvocato delle vittime, ha sottolineato che i giudici della Corte Nazionale di Giustizia e della Corte Costituzionale, hanno fatto il loro dovere, nonostante le immense pressioni a cui sono stati sottoposti.
Fajardo ha ringraziato a nome del Paese tutti quei giudici che non hanno ceduto al ricatto e ai tentativi di corruzione, pratica purtroppo adottata dalle multinazionali anche in questo caso legale, come evidenziato in diverse circostanze opportunamente segnalate.
Fajardo ha riconosciuto che questo non è solo un trionfo della UDAPT, ma è un trionfo di tutti i popoli del mondo che lottano per l’accesso alla giustizia, per una vita dignitosa, per veder riconosciuti i propri diritti contro i reati societari. “Non abbiamo battuto solo Chevron, abbiamo superato il sistema diimpunità corporativo in Ecuador”, commenta Fajardo.
L’avvocato ha sottolineato che il sistema giudiziario ecuadoriano è stato l’unico al mondo che ha conosciuto e trattato in profondità il caso Chevron. Grazie alle prove portate in aula e a solide argomentazioni giuridiche sono stati sanciti verdetti che hanno condannato la compagnia in due istituzioni legali: presso la Corte Nazionale di Giustizia e ora anche alla Corte Costituzionale. Sulla base di ciò, sostiene, il “crimine commesso dalla compagnia petrolifera è evidente e dimostrato e dunque non si può più parlare di un presunto infortunio e ancora meno di causa fraudolenta”.
Era impensabile, ha detto il coordinatore dell’UDAPT, che un gruppo di 30 mila indigeni e contadini poveri potessero contrastare il potere di una delle più influenti multinazionali del mondo.
“Ora abbiamo dimostrato che è possibile, che il denaro non ha potere di fronte alla dignità dei popoli”, ha detto il coordinatore aggiungendo che la lotta non è finita e che continuerà nei tribunali esteri, come il Canada, per convalidare la sentenza del 2011.
Simona Tarzia
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.