Il blogger antimafia aveva ricevuto delle intimidazioni in aula da Vincenzo Marcianò, sotto processo a Imperia per l’indagine “La Svolta”
“Tu ridi perché io sono qui dentro, se ero fuori ti assicuro che non ridevi più”.
Lo aveva minacciato da dietro le sbarre dell’aula di giustizia del Tribunale di Imperia Vincenzo Marcianò, sotto pressione per un processo che si stava mettendo male e che avrebbe sancito per la prima volta la presenza della ‘ndrangheta in Liguria.
E non era una novità che i mafiosi volessero mettere il bavaglio al presidente della Casa della Legalità. Si legge nella trascrizione di un’intercettazione ambientale registrata proprio in casa dei Marcianò: “Quello che scrive tutte le cose su di lui è quello di Savona (Cristian Abbondanza, ndr). Questo qui sta sfidando”. A quel punto Vincenzo Marcianò risponde che prima o poi lo ammazzeranno.
In un’altra conversazione è ancora Marcianò che parlando di Abbondanza dice che “è andato proprio a seguire Ninetto (Carmelo Gullace, oggi sotto processo per l’indagine Alchemia, ndr) dentro la cava con la telecamera e non si rende conto che se lo prendono uno di quelli lo ammazzano”. Al che Giovan Battista Scibilia (amico di famiglia, indagato anche lui per “La Svolta”, processato e assolto, ndr) commenta che non lo ammazzano perché è troppo diretto nelle accuse e “gli investigatori saprebbero subito chi andare a prendere”. Quindi raccomanda prudenza e suggerisce di lasciarlo perdere per un paio d’anni per poi “eliminarlo dopo”. Marcianò è d’accordo e ribadisce che quella è la fine che farà.
L’antefatto
Imperia, 30 gennaio 2014. Si attende l’inizio del dibattimento. Sono 36 gli imputati che l’indagine “La Svolta” ha messo alla sbarra e non sono delinquenti comuni. Sono la mafia del Ponente ligure. Sono i boss e i soldati che tengono in scacco la nostra regione. E sono accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso e reati fine. È la prima volta che nell’aula di un tribunale ligure si sente parlare di 416-bis e la tensione dietro le sbarre è palpabile. Da qui, dalla gabbia dell’aula Trifoggi, partono le minacce a Christian Abbondanza, il “pezzo di merda” che ha fatto i nomi.
A puntare il dito è il figlio del boss Giuseppe Marcianò, Vincenzo, all’epoca non ancora “cosa giudicata” ma che sarà condannato definitivamente dalla Cassazione a gennaio 2020, quando finalmente si metterà una pietra tombale sul riconoscimento delle locali di Ventimiglia e Bordighera.
“Tu ridi perché io sono qui dentro, se ero fuori ti assicuro che non ridevi più”, urla Marcianò indicando il blogger antimafia di fronte ai suoi sodali e ai suoi familiari, in aula per assistere al processo, facendone un possibile bersaglio. A questo punto gli agenti trasferiscono Abbondanza negli uffici della Polizia giudiziaria dove sporgerà denuncia.
Una pronuncia storica della Cassazione
La parola fine a questa vicenda l’ha messa la Cassazione che ieri ha pubblicato le motivazioni della sentenza di condanna di Vincenzo Marcianò per “minacce aggravate dal metodo mafioso”. E qui sta il punto: è la prima volta che succede in un caso che riguarda la Liguria.
Scrive la Corte che “può affermarsi che la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416 bis.1, c.p., è configurabile quando l’azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento ovvero di intimidazione, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune”.
E infatti Marcianò le frasi di minaccia non le ha lanciate al vento, precisa ancora la Corte aggiungendo che l’intento era chiaro: colpire “non un soggetto qualunque ma proprio Abbondanza, a sua volta direttamente interessato all’andamento e all’esito del giudizio nella sua qualità di presidente della Casa della Legalità, associazione di volontariato con finalità di contrasto alle associazioni criminali” che “ben conosceva la dimensione criminale dell’imputato e della sua famiglia”, legata al potente clan Piromalli di Gioia Tauro.
E “l’Abbondanza” in effetti “venne gravemente turbato proprio dal timore di dover fronteggiare i coimputati per reato associativo, ovvero i parenti del Marcianò, quali esecutori materiali della volontà di punirlo manifestata da quest’ultimo”. Volontà che la Corte fa risalire pure a quelle conversazioni intercettate dai Carabinieri in casa di Marcianò che contenevano “minacce esplicite anche di morte”.
Una rivincita per chi ogni giorno ci mette la faccia rischiando la pelle, troppo spesso da solo.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.