L’informazione, con qualche rara eccezione, durante tutta la campagna referendaria ha distribuito notizie e scandito slogan senza lasciare a chi ascolta la possibilità di fermarsi a riflettere. In questi mesi l’informazione, pilotata o meno, ha perso di vista il suo vero scopo: informare con chiarezza.
È per questo che abbiamo deciso di presentarvi due interviste integrali, che potete vedere e ascoltare su fivedabliuTV, mettendoci in una posizione che tenesse conto delle opinioni contrastanti senza angustie mentali e, questo è l’atteggiamento più difficile, presentando l’una e l’altra tesi senza esprimere un giudizio personale.
Una cosa, però, vogliamo ricordarla ed è l’articolo 48 della Costituzione: ”Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.
Gli italiani, che sono chiamati a modificare la Costituzione, secondo lei la conoscono? Sanno cosa andranno a cambiare?
La Costituzione si conosce troppo poco, bisognerebbe insegnare di più nelle scuole l’educazione civica. Diciamo che nel male di questa riforma che non condividiamo c’è un bene: che in questi mesi siamo riusciti a parlare di più della Costituzione, a raccontarla, a spiegarne i grandi vantaggi e soprattutto a sottolineare i grandi principi che sono contenuti nella prima parte e che purtroppo non sono stati, finora, applicati fino in fondo.
Queste riforme servono alla governabilità?
Si usano molti slogan per descrivere questa riforma: velocità, governabilità, semplificazione. In realtà non vi è nulla di tutto questo, sia perché la riforma complica il sistema anziché semplificarlo, sia perché gran parte di questi problemi sono politici, legati alla politica, ai partiti, al funzionamento dei partiti, alle leadership e non certo alla Costituzione o alle istituzioni. Se prendiamo ad esempio il tema della velocità, è un tema squisitamente di volontà politica. Ci sono leggi come quelle sulle banche che vengono approvate velocemente, se si tratta di risolvere i problemi dei lavoratori o degli esodati i tempi sono biblici ma non dipende dalla Costituzione, dipende dalla politica.
La stesa cosa si può dire sulla governabilità: è un problema squisitamente politico. Io vorrei ricordare che l’ultimo governo, quello di Enrico Letta, è caduto perché Matteo Renzi gli disse “Enrico stai sereno” e dopo qualche giorno prese il suo posto. Quindi i tanti governi che ci sono stati nel nostro paese sono frutto di dinamiche interne ai partiti, non legati alla Costituzione.
Come viene modificato il Senato? Questa modifica renderà tutto veramente più snello?
Il Senato viene modificato male. Innanzitutto perché si toglie il diritto di voto ai cittadini seppure il Senato mantenga il potere supremo di riforma della Costituzione. Quindi in qualche modo si va anche a violare l’articolo 1 della Costituzione che dice che la sovranità appartiene al popolo. Poi, se andiamo a vedere i punti fondamentali, cioè come viene eletto, da chi è composto e le funzioni che dovrebbe svolgere, ci rendiamo conto che è una riforma molto pasticciata perché l’unica certezza che abbiamo è che non saranno i cittadini a eleggerlo ma, ancora oggi, non abbiamo capito come sarà eletto. Sappiamo che saranno i consiglieri regionali tra loro che si nomineranno senatori. In più, c’è anche la composizione di questo Senato che è molto farraginosa e grottesca: insieme a dei dopolavoristi – cioè sindaci e consiglieri regionali che vengono eletti dai cittadini per fare un altro mestiere e non quello di senatore – vi sarebbero gli ex presidenti della repubblica, i senatori a vita e una figura nuova di senatori che durano in carica sette anni.
Tutte cose che non c’entrano niente con un Senato delle autonomie.
Inoltre, i poteri stessi di questo Senato sono dati in maniera sciocca perché non sono poteri che riguardano le autonomie locali. Il Senato può discutere, di fatto, tutte le leggi che vengono approvate dalla Camera. Non solo non finisce il bicameralismo perfetto, ma viene dato a sindaci e consiglieri regionali un compito che non li dovrebbe assolutamente riguardare.
L’articolo 117 ridisegna i rapporti tra Stato e Regioni, rapporti che erano già stati toccati con la riforma del titolo V nel 2001. Questo aprirà un nuovo contenzioso?
Il vizio dell’Italia è procedere sempre per mode. Nel 2001 tutti erano regionalisti e federalisti e si fece una riforma che probabilmente era troppo sbilanciata a dare potere alle regioni.
Oggi, invece, senza nessuna valutazione seria di come le regioni hanno funzionato, di cosa servirebbe al Paese e di quanti e quali livelli istituzionali renderebbero più efficiente la macchina dello Stato, si fa una riforma che, di fatto, centralizza quasi tutte le competenze, quasi tutti i poteri.
Secondo me questa riforma è sbagliata perché, se il problema erano le regioni, si dovevano innanzitutto riformare le regioni. Fare un Senato fatto di consiglieri regionali è il modo migliore per non riformarle mai più. Nella divisione dei poteri, secondo me, ora c’è un eccesso di centralismo, in particolare se pensiamo a settori come l’urbanistica e l’ambiente o se pensiamo al fatto che comunque esisterà una clausola di supremazia che prevede che il Governo possa avocare a sé anche le poche materie che restano di competenza regionale. Mi pare che si vada nella direzione opposta a quella della partecipazione dei cittadini perché da un lato si toglie il diritto di voto per il Senato, dall’altro si limitano i poteri degli enti locali. Mi sembra che il senso profondo di questa riforma sia centralizzare tutto e dare tutto il potere a un uomo solo, l’uomo solo al comando.
Lei accennava all’ambiente: che cosa cambierebbe in questo caso se venisse deciso di fare un inceneritore, per esempio a Scarpino, con questa nuova competenza dello Stato?
Succede che con questa clausola di supremazia, se il Governo decide che un’opera è di interesse nazionale, la può fare a prescindere dalla volontà dei territori e dei cittadini. Prima, con la legislazione concorrente, Stato-Regioni-Enti Locali per realizzare una grande opera dovevano trovare un accordo.
Mi sembra un grave passo indietro anche da questo punto di vista.
Con l’introduzione dei referendum propositivi, ad esempio, la riforma favorisce la partecipazione dei cittadini?
In realtà questi referendum si sono solo evocati. Devono essere ancora normati quindi, al momento, non c’è nulla di concreto. Dal punto di vista della democrazia diretta, l’unico dato certo è che se oggi servono 50.000 firme tra i cittadini per proporre leggi di iniziativa popolare, con questa riforma ne serviranno 150.000.
Quindi a chiacchere e a parole ci saranno in futuro i referendum propositivi. La certezza ad oggi è che per una legge di iniziativa popolare saranno necessarie il triplo delle firme.
E l’abbassamento del quorum con le 800.000 firme raggiunte?
Anche in questo caso, se si voleva fare una riforma seria, si doveva abbassare il quorum a prescindere dal numero di firme raggiunte, mantenendo le 500.000 attuali. Il fatto che questo abbassamento del quorum lo si possa conseguire solo con 800.000 firme è l’ulteriore dimostrazione che il referendum non viene vissuto come un’arma in mano alle minoranze per far valere i loro diritti o proporre temi ai cittadini italiani, ma con una visione plebiscitaria. Cioè, ragionevolmente le 800.000 firme le potrà raccogliere chi già detiene il potere e magari utilizzare un referendum a carattere plebiscitario, per esempio sul taglio dei costi della politica, in maniera demagogica per costruirsi il consenso.
Lo spirito del referendum è un altro. È controllare chi sta al governo e quindi consentire alle minoranze, e non alle maggioranze, di convocare dei referendum su temi importanti.
Il nuovo articolo 72 prevede il voto a data certa per i provvedimenti che l’esecutivo ritiene fondamentali per l’azione di governo. È questo un modo per velocizzare l’approvazione delle leggi?
Questo è un modo per espropriare il Parlamento della possibilità di fare le leggi. Del resto tutta questa riforma va nella direzione di accentrare i poteri sul Governo: si toglie il diritto di voto ai cittadini, si toglie al Parlamento la possibilità di fare le leggi – perché con questo nuovo istituto sarà l’esecutivo a legiferare – si tolgono agli Enti Locali i poteri che hanno oggi nelle materie più vicine ai bisogni dei cittadini.
Quindi anche questo nuovo istituto del voto a data certa ci fa capire come l’unico vero obiettivo di questa riforma sia accentrare tutti i poteri sul Governo.
Poi il senso ultimo di questa riforma è esattamente questo: viviamo in una fase di difficoltà economiche e sociali evidenti – e io dico anche etico-morali della classe dirigente – e la risposta a tutto questo non è quella di aprirsi, di provare a cambiare, di coinvolgere di più i cittadini, ma al contrario, di accentrare tutti i poteri sul Governo perché il potere ha paura di essere messo in discussione.
Quindi con la data certa si corre il rischio che il Governo diventi il padrone del calendario del parlamento?
Certamente sì. Da un lato si è costruito un modo di fare le leggi che è più farraginoso di quello attuale, dall’altro ancora di più tutto si concentrerà sull’attività legislativa dell’esecutivo. Oggi il Governo, per poter portare avanti delle sue proposte di legge, deve rivendicare l’urgenza del provvedimento. Con questo istituto non avrà neanche più bisogno di chiedere l’urgenza, basterà che la legge o l’oggetto della legge siano considerati prioritari per la realizzazione del suo programma. Non solo, la definizione è talmente generica che consentirà al Governo di legiferare su qualunque materia.
L’abolizione del CNEL porterà vantaggi reali al Paese?
Ci sono parti della riforma che potevano essere largamente condivisibili in Parlamento. L’abolizione del CNEL è una di queste perché di fatto, in questi anni, non ha prodotto granché in termini di produzione legislativa, di suggerimenti. Doveva essere luogo d’incontro tra il mondo del lavoro e il Governo ma non ha svolto questa funzione.
Quindi si poteva staccare questo pezzo della riforma e farne un disegno a parte in cui si tenesse conto in maniera oculata anche dei lavoratori che oggi fanno parte del CNEL. Ma questo non è uno degli argomenti di scontro tra SÌ e NO.
Diciamo che fa parte di quella demagogia che viene utilizzata per far digerire agli italiani una riforma di 47 articoli della Costituzione e quindi, qua e là, c’è qualche spruzzatina di buonsenso tipo l’abolizione del CNEL.
Ci sono anche molte altre cose, ad esempio la diminuzione dei parlamentari. Un provvedimento che si poteva fare tranquillamente con un consenso ampio in Parlamento perché quasi tutte le forze politiche si erano pronunciate a favore.
Quindi bisogna stare attenti a non farsi ingannare perché alcuni temi non dividono. I temi che dividono sono altri, sono quelli che vedono concentrare il potere sul Governo.
Questi, invece, vengono utilizzati come specchietti per le allodole, per far credere ai cittadini che si stanno facendo grandi riforme.
Nel caso vincesse il SÌ, la nuova Costituzione che nascerà dalla riforma sarà in grado di tenerci lontani dalle derive nazionaliste che vediamo per esempio in Ungheria e che comunque stanno spopolando in Europa?
Le Costituzioni sono innanzitutto un equilibrio tra i poteri e nascono proprio con l’esigenza di evitare l’uomo solo al comando. Ora è chiaro che quando tu fai una riforma della Costituzione che ha la tendenza ad accentrare tutto sul Governo e in più la abbini a una legge elettorale che di fatto è una elezione diretta del premier la situazione si fa pericolosa. Questo perché, a differenza degli stati presidenziali come gli USA, da noi il premier verrebbe eletto insieme al Parlamento e quindi controllerebbe anche la rappresentanza parlamentare, venendo meno l’elemento di equilibrio e contropotere.
Tutto questo concentrare il potere su un uomo solo può far sì che in momenti di crisi possano prevalere tendenze estremiste, ancor più pericolose proprio perché non avrebbero contropoteri a bilanciarle. Quindi, nella situazione attuale, proporre una riforma di questo genere credo sia molto rischioso e molto pericoloso per la tenuta delle istituzioni.
Quanto pesa il voto degli italiani all’estero?
Quanto pesa lo vedremo poi, a referendum. Quel che è certo è che si sta facendo una grande propaganda anche sugli italiani all’estero. La cosa che emerge ancor più che per il voto dei cittadini italiani è la disparità di mezzi con cui si stanno bombardando gli Italiani all’estero con la propaganda, in particolare del SÌ.
E poi esprimiamo anche qualche preoccupazione rispetto al fatto che un po’ tutto l’apparato del Ministero degli Esteri e le ambasciate, si ricordino che sono al servizio del Paese, non al servizio del Governo, e quindi devono mantenere un atteggiamento neutrale in questa vicenda. Non sempre è stato così, lo abbiamo visto nei viaggi all’estero della Ministra Maria Elena Boschi che in molte circostanze ha potuto contare su un appoggio non solo logistico ma anche politico-oragnizzativo da parte di alcune ambasciate. Questa è una cosa grave.
Penso che il voto all’estero debba essere controllato attentamente anche perché, come sappiamo, la modalità di voto è differente e sono potenzialmente più facili brogli o comunque episodi poco chiari. Sarà bene vigilare perché in una situazione che può essere di grande equilibrio tra SÌ e NO, il voto degli italiani all’estero può essere determinante.
Quindi la lettera di Matteo Renzi agli italiani all’estero suona un po’ come un’imboscata per il NO.
Intanto non si capisce bene se Matteo Renzi questa lettera l’abbia scritta da segretario del Partito Democratico o da Presidente del Consiglio. Questa sua, diciamo, commistione di cariche a volte crea anche dei problemi, come in questo caso.
Più che altro c’è da chiedersi di quali mezzi economici disponga il Presidente del Consiglio visto che è riuscito a scrivere 4milioni di lettere e visto che la sua presenza sui media è sempre molto forte.
Stiamo parlando di un referendum e non di una campagna elettorale per le elezioni politiche e il tema di dare al SÌ e al NO le stesse chances di far arrivare il proprio messaggio dovrebbe essere uno degli elementi fondamentali. Anche per questa ragione, è stato chiesto al Presidente della Repubblica di svolgere un ruolo di controllore e di equilibrio.
Quel che è certo è che la presenza del Presidente del Consiglio e dei suoi ministri sembra straripante rispetto alla presenza dei rappresentanti del NO.
Può funzionare una riforma che divide il Paese e che è stata approvata a maggioranza?
Questa è la questione, secondo me, realmente decisiva. Al di là delle tante considerazioni di merito che si possono fare e delle tante ragioni per cui questa riforma non è utile, io penso che bisognerebbe riflettere attentamente sul fatto che una riforma approvata a maggioranza, che spacca il Paese e che se dovesse passare sarebbe per una differenza di pochi voti, è una riforma che in realtà è inutile.
Autorizza il prossimo esecutivo, qualunque esso sia dal M5S al centrodestra, a fare una nuova riforma della Costituzione. Cioè, le riforme della Costituzione non possono essere di parte, devono essere largamente condivise. Se, in un certo momento storico, non ci sono le condizioni per fare riforme largamente condivise, è bene tenersi la Costituzione che si ha.
La imbarazza votare come CasaPound?
No, non mi imbarazza nel senso che le motivazioni per le quali io voto NO sono molto diverse da quelle della Lega, di Forza Italia o di CasaPound.
Registro il fatto che Matteo Renzi, nel proporre questa riforma, si è scelto degli interlocutori ben precisi e tra questi Denis Verdini, che è sotto processo per la P3, un’associazione che appunto nasce per sovvertire le istituzioni dello Stato. In questo caso Verdini e Renzi hanno condiviso il merito della riforma. Io, invece, condivido con altri soggetti, che mi sono lontani dal punto di vista politico, l’idea che questa riforma sia sbagliata.
Mi sembra che ci sia una grossa differenza.
Peraltro, nel momento in cui diciamo tutti che la Costituzione dovrebbe fondare quelle regole del gioco in cui tutti gli italiani – di destra, di sinistra, di centro – si possono riconoscere, il mio imbarazzo è più legato al fatto che si sia fatta una riforma di maggioranza piuttosto che cercare largo consenso per un cambiamento tanto invasivo: 47 articoli, cioè 1/3, cioè quasi tutta la seconda parte.
Senza dimenticare i riflessi che certamente investiranno la prima parte della Costituzione, per due ragioni: se togli ai cittadini il diritto di voto per il Senato, l’articolo 1 – la sovranità appartiene al popolo – non è più del tutto rispettato. In secondo luogo perché la seconda parte della Costituzione riguarda mezzi e strumenti per applicare i principi contenuti nella prima. Se tu modifichi radicalmente mezzi e strumenti e operi un accentramento del potere su una persona sola, è perché non vuoi più realizzare i principi della prima parte che andavano nella direzione della partecipazione e dell’aumento dei diritti.
Quindi io credo che questo dovrebbe imbarazzare molto di più.
Simona Tarzia
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.