Il Consorzio CdP firma con Atlantia l’accordo per Aspi: previsto che i nuovi soci si dividano con il venditore eventuali oneri che derivino da contenziosi
Proviamo a raccontare una storia, una sorta di giallo, dove alcune vite, loro malgrado, si incrociano si aggrovigliano e si spengono. I veri protagonisti muoiono, sono 43, e non per il traguardo naturale che spetta a chi nasce, ma perchè vengono uccisi. Alcuni rimarranno segnati per sempre, ma scampano a questo massacro. Non parliamo proprio di omicidi, perchè altrimenti gli eleganti, bravi, ricchi e abbronzati avvocati degli imputati di lusso ci querelano e facciamo una brutta fine. Diciamo che 43 persone sono morte perchè le cose che andavano fatte non sono state fatte.
14 agosto 2018
Torniamo al 14 agosto 2018, vigilia della festa di mezza estate, periodo di vacanza, di allegria, di leggerezza. Per andare in vacanza bisogna attraversare un ponte costruito dall’ingegner Morandi, quello che per molti è solo il ponte di Brooklyn o il viadotto sul Polcevera.
La giornata estiva, funestata da un temporale violentissimo, si trascina verso mezzogiorno. Ma il tempo si ferma, alle 11.36, quando 250 metri di ponte collassano nel Polcevera stroncando 43 vite.
Ci ritroviamo sul ponte delle “Ratelle” con il collega Fabio Bussalino, attoniti per la scena davanti ai nostri obiettivi.
Uno scenario di guerra
La politica si attiva, le amministrazioni si attivano. Ci sono sfollati, un ponte in bilico a 100 metri di quota che una televisione cinese inquadra per giorni in attesa che crolli definitivamente. Poi le vittime, i parenti delle vittime, la politica, gli effetti personali lasciati nelle case sotto al moncone del Morandi. Il caos, l’inferno in terra, una città spezzata a metà. I vertici di Autostrade tacciono, colpevolmente, ma forse sanno che è meglio così.
Genova improvvisamente diventa il centro del mondo
Genova improvvisamente diventa il centro del mondo. D’altronde nel 2018 i ponti che cadono, nei paesi “civilizzati”, sono pochi.
“Roma” arriva a Genova, creando più problemi che altro. Le strade già intasate subiscono anche i rallentamenti delle passerelle politiche. Ma l’occasione di “dire la cosa giusta” è troppo ghiotta. Ognuno dice la sua, ognuno promette qualcosa. Partono le zone colorate, rossa, gialla, arancione. C’è chi ha perso la vita, chi perde la speranza perchè non ha più un lavoro, chi ha perso le sue cose, quelle banali che incontri quando cammini per casa. Una cornice che contiene un momento felice, un raccogli polvere che non butti mai perchè è la bomboniera di un matrimonio o di una comunione.
Quando la città si sveglia dallo shock la domanda più ricorrente è: “Perchè è crollato il Morandi?”.
E come sempre negli ultimi anni, grazie all’informazione che corre sui social, le ipotesi vanno dal fulmine, alla bobina d’acciaio, all’attentato. Ma come nei noir più classici, i maggiordomi, perchè in questa storia ce ne sono molti, sono i responsabili degli omicidi e dei danni incalcolabili all’economia di Genova e della Liguria. E sono responsabili di aver negato un futuro a chi è morto pagando pure il pedaggio.
Giovanni Castellucci
Da subito il volto del colpevole ha le sembianze dell’amministratore delegato di Aspi, Giovanni Castellucci. È un ruolo che gli si addice, ha l’estetica giusta, lo sguardo da manager duro che bada al sodo. Non è uno di noi, di voi, è uno da piani alti, non da olimpo però. E qualche scemenza la fa. Non è convincente nel chiedere scusa in un’affollata conferenza stampa il giorno dei funerali delle vittime, rompe il modellino del ponte preparato da Renzo Piano in un’altra affollata conferenza. Lui ride di gusto per quell’incidente, anche chi è vicino a lui ride. I giornalisti presenti no.
Castellucci viene presto scaricato. D’altronde non era nell’olimpo.
Cerca di incassare la cospicua liquidazione, la buonuscita, ci riesce, ma poi la magistratura blocca tutto. In quei mesi, tutti i giorni impariamo qualcosa sugli assetti societari, sentiamo nomi di aziende che sono poco conosciute se non per gli addetti ai lavori, vediamo dirigenti poco avvezzi ai microfoni, rispondere con fastidio alle domande dei giornalisti.
Una storiella
Ora vi raccontiamo una storiella di molti anni fa.
Un piccolo imprenditore finalmente riesce a imbucarsi in una festa per imprenditori di ben altro livello. E pensa di approfittare dell’occasione per raccattare qualche consiglio dai più ricchi “colleghi”. Allora vede Gianni Agnelli, gli si avvicina e senza tanti fronzoli spara la sua domanda: “Avvocato, se lei avesse un miliardo di lire cosa farebbe?”. La risposta fu definitiva: ” Mi suiciderei”. La povertà si vede, la ricchezza si declina.
Servi sciocchi e ingordi
Ecco, il piccolo imprenditore nella faccenda del crollo del Morandi sono i Benetton. Una famiglia di imprenditori molto ricchi, rispetto alla moltitudine, ma servi sciocchi e ingordi nella gestione del più redditizio bancomat italiano: le autostrade.
Nel periodo delle grandi privatizzazioni la politica scelse la famiglia trevigiana per gestire le concessioni autostradali. Era il periodo del “privato è meglio”, il periodo in cui l’Italia ha rinunciato alla sua indipendenza economica. Insomma, la miserabile classe politica italiana, nell’arco di un decennio, dal 1991 al 2001 circa, ha svenduto il patrimonio industriale italiano.
Chi compra lo fa a prezzi di saldo, chi svende si garantisce la poltrona nella stanza dei bottoni. E in effetti, nel caso di autostrade, di soldi alla politica ne arrivano tanti, a destra come a sinistra, con buona pace di chi, ancora oggi, si spertica in analisi politiche articolate pur di sostenere un’idea che di fatto viene regolarmente travolta dal fiume in piena dei finanziamenti che la politica prende dagli imprenditori in cambio di favori.
E nel caso Benetton, famiglia di imprenditori molto facoltosi ma non nel gotha mondiale della ricchezza, a noi non è chiaro il perchè gli fu concesso di esporsi finanziariamente in maniera così rilevante.
In un articolo scritto da Simona Tarzia per Fivedabliu si legge: “Nel 1999 la Edizione S.r.l., holding della famiglia di Ponzano Veneto, si aggiudica il 30% della controllata dell’IRI attraverso una scatola finanziaria costituita ad hoc, la Schemaventotto S.p.A., che investe nel business 2,5 miliardi di vecchie lire ma si indebita per 1,2 miliardi.
Ricordiamoci di questa cifra.
Quella dei Benetton è l’unica offerta vincolante d’acquisto per il pacchetto azionario che perviene all’IRI perché la seconda cordata, guidata dalla banca d’affari australiana Macquarie Group Limited, si ritira all’ultimo.
Una seconda tranche di acquisizioni va in porto nel 2003 quando Schemaventotto lancia un’Offerta Pubblica d’Acquisto da 6,45 miliardi di euro attraverso una “società veicolo”, la Newco28, e si aggiudica il 54% di Autostrade.
Per ottenere la liquidità necessaria, la Newco28 si rivolge al sistema creditizio quindi, a seguito di una fusione per incorporazione, trasferisce ad Autostrade tutto il debito contratto per acquistarla.
Alla fine del gioco, con gli incassi da pedaggi cresciuti del 21%, tra il 2000 e il 2009 Schemaventotto preleva da Autostrade 1,4 miliardi di euro di dividendi e ne colloca in Borsa il 12%, con un incasso di altri 1,2 miliardi.
Fanno 2,6 miliardi di euro. La famiglia Benetton rientra del debito.
Oggi Autostrade è controllata al 100% da Atlantia S.p.A. di cui i Benetton detengono la maggioranza azionaria – il 30,25% – attraverso attraverso Sintonia S.p.A., subholding di Edizione S.r.l.”.
Nell’Italia dei grandi misteri irrisolti due domande noi ce le siamo fatte.
Torniamo al crollo del ponte Morandi. Dopo Castellucci e altri piccoli boiardi, l’attenzione dei media, dei social e della politica, è calata sui Benetton additati come principali responsabili del crollo. In realtà la ricca famiglia trevigiana era uno degli ingranaggi di un sistema societario ben più articolato e di dimensioni planeretarie.
Atlantia è dappertutto
Atlantia entra nelle nostre vite. È un colosso mondiale, è dappertutto, conosciuta ovunque. Ma non è ancora il vertice. È solo una cassaforte. Atlantia possiede la concessione di Autostrade ma anche servizi legati alla mobilità in ben 11 paesi. Oltre a 14.000 km di rete autostradale ha in mano anche Aeroporti di Roma. Raccontare esattamente cosa sia Atlantia non è semplice, ma con l’aiuto della grafica il quadro è un po’ più chiaro.
Di chi è Atlantia?
Il 30,25% della società è di Sintonia Edizione che fa capo ai Benetton. La fetta che fu praticamente “regalata” dalla lungimiranza della politica italiana alla famiglia trevigiana. Una mancia redditizia per gestire la rete autostradale.
L’8,29 % è in mano a GIC Private Limited, un fondo sovrano d’investimento fondato dal governo di Singapore per gestire le riserve in valuta estera del Paese. La Società offre servizi di gestione patrimoniale, fondi, strategie di investimento, pianificazione finanziaria e consulenza. GIC serve clienti in tutto il mondo.
Il 5,01% è di HSBC Holdings che si occupa di servizi bancari al dettaglio e gestione patrimoniale, banche commerciali, banche e mercati globali e private banking globali. I suoi maggiori azionisti includono diverse importanti istituzioni di investimento globali come Dimensional Fund Advisors, Renaissance Technologies e J.P. Morgan Securities. Consulente di Blackstone in numerose operazioni finanziarie.
Fondazione Cassa di Risparmio di Torino ha il 4,5% mentre lo 0,94% è costituito da azioni proprie. Quasi il 60% è di flottante, cioè azioni emesse da una società e disponibili per la negoziazione. Di questo quasi 60%, solo il 20% è in mano italiana mentre il resto è inglese e americano.
Ritiro delle concessioni? Solo proclami
Dopo mesi di inutili proclami sul ritiro delle concessioni ai privati per ri-statalizzare autostrade, passando attraverso numerosi teatrini, si è arrivati all’atto finale.
In questa storia triste e gravissima, a fronte di un processo che sembra in salita, visto che in Italia chi detiene il potere in galera non ci va, era comunque necessario dare un segnale. Estromettere i maggiordomi era il minimo. Così, a fanfare spianate, si parla di autostrade nuovamente in mano pubblica. Sarà vero? Vediamo.
Il gruppo che gestirà la rete autostradale italiana sarà composto da Cassa Depositi e Prestiti, Il fondo americano Blackstone e Macquarie Infrastructure and Real Assets.
Blackstone non è un’azienda, è un’entità
Blackstone è un’entità più che un colosso finanziario. Anche Blackstone è ovunque ed è una macchina da soldi. Il suo CEO e cofondatore, Stephen A. Schwarzman, gestisce 649 miliardi di dollari, più di un quarto del prodotto interno lordo italiano.
Ma “l’uomo nero” – si scherza eh – fa anche un sacco di bene in giro per il mondo. È un filantropo. Generoso come pochi altri, è stato anche uno dei protagonisti delle privatizzazioni italiane degli anni ’90. Stimato investitore in Piazza Affari è un appassionato di “mattoni italiani”, entrando nelle gare per l’acquisizione di alcuni immobili di MPS o per acquisire il palazzo che ospita il Corrierone in via Solferino.
Il sistema bancario si fida dei nuovi soci
Ma a quanto pare il sistema bancario si fida molto anche degli altri soci. Il fondo australiano Macquarie Infrastructure and Real Assets, ha raccolto una paio di miliardi di euro da una ventina di investitori istituzionali italiani.
E visto che “chi si somiglia si piglia”, il fondo australiano è in ottimi rapporti con la famiglia Benetton, soprattutto nel passaggio di testimone nella privatizzazione di Aeroporti di Roma.
Infatti nel 2007, attraverso una complessa operazione finanziaria condotta da Sintonia, la solita holding finanziaria dei Benetton, la famiglia trevigiana rilevò da Gemina e Macquarie la maggioranza del capitale, poi trasferita ad Atlantia nel 2013.
Naturalmente Macquarie uscì dall’operazione con un utile stratosferico, con buona pace dei soci italiani.
Questa storia di concessioni, di cifre strabilianti, di politica collusa e imprenditori che sanno solo prendere, ma anche di 43 morti, di un danno economico incalcolabile per Genova e la Liguria, questa storia di ordinaria sudditanza è al suo epilogo. I Benetton saranno anche fuori, ma i loro amici sono tutti dentro. Dentro agli affari, non fatevi illusioni.
Si scherza eh…
Insomma, per le concessioni autostradali inizierà un nuovo corso a partire dal 2022. Lo Stato italiano, guidato da politici esperti in genuflessioni e con al Governo il principale fautore delle privatizzazioni, Mario Draghi, si metterà in società con un canguro mannaro e un benefattore dell’umanità che, – si scherza eh – di nome fa “Uomo nero”. Entrambi in affari con i Benetton e con Atlantia. Eppure c’è chi parla di autostrade nuovamente pubbliche.
Facciamo un altro salto indietro. Si è tanto parlato di intercettazioni, di negligenze, di azioni deliberate, di omissioni. Però non basta sapere che sono successe. Bisogna leggerle e imprimerle nella mente. Perchè se per molti fare affari è prioritario, se per i prenditori nostrani è normale prostrarsi davanti al dio denaro, almeno noi comuni mortali dobbiamo provare a custodire la memoria.
Le intercettazioni
Ecco una serie di intercettazioni che inchiodano alcuni personaggi alle loro responsabilità. Perchè non si rischi di scoprire quanto possa essere amaro il crepuscolo della Giustizia.
“…Manutenzioni fatte in calare, più passava il tempo e meno facevamo…così distribuiamo più utili…e Gilberto (Benetton) e tutta la famiglia erano contenti”.
“È chiaro che ci son state negligenze: si fa fatica ad intervenire perchè tutta l’azienda si sta autoproteggendo”.
“Non riesco a capire come in questa situazione possiamo pensare che quello che fa male i controlli faccia molto bene la progettazione e direzione dei lavori”.
“Che tu sia stanco non è che gli puoi dì… imputà a lui (Castellucci) che ci sono stati quaranta morti de là e quarantatré de qua… stiamo tutti sulla stessa barca”.
Ma ora cambierà tutto, arriva lo Stato
Atlantia ha accettato l’offerta da 9,1 miliardi del consorzio formato da CdP Equity (51%), Blackstone (24,5%) e Macquarie (24,5%) che con la nuova società di diritto italiano, Holding Reti Autostradali (HRA), acquisiscono l’88,06% del pacchetto azionario di Autostrade per l’Italia. Tradotto significa un assegno da 2,4 miliardi per i Benetton.
Dove sta la fregatura?
L’offerta prevede che i nuovi soci si dividano con il venditore eventuali oneri che derivino da procedimenti penali e contenziosi. Atlantia si accollerà i primi 150 milioni, dopodiché, superata la cifra, il 75% sarà pagato dalla holding fino al limite dei 459 milioni. Il restante 25% da Cdp, cioè lo Stato, e dai nuovi soci.
Secondo molti abbiamo mandato via la famiglia Benetton, secondo noi adesso al comando della rete autostradale c’è direttamente lo sceriffo di Nottingham. E pagheremo anche una parte dei danni. Verrebbe da dire, la solita Italia.
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.