FIS, CIG, DPCM “Cura Italia”, DPCM “Liquidità”. Sono tanti i nomi e le sigle che ci fanno compagnia in questo periodo di quarantena e tutte ci parlano di un mondo del lavoro in sofferenza, colpito dallo tsunami della pandemia mentre ancora cercava di superare la Grande Recessione del 2008.
“Exceptionally bad times” li chiama la Commissione UE che per la prima volta apre i lucchetti dei deficit pubblici e sospende il Patto di Stabilità. Perché dopo l’emergenza sanitaria è questa la nuova crisi che abbiamo di fronte: lo shock economico da Covid-19 che soltanto a Genova ha già messo in cassa integrazione o collocati in FIS, il Fondo d’Integrazione Salariale previsto dal decreto “Cura Italia”, almeno 60.000 persone.
Ce lo spiega Igor Magni, il Presidente della Camera del Lavoro di Genova, che poi chiarisce come questo numero sia solo parziale perché “a noi manca il dato di tutte le aziende sotto i 5 dipendenti che non hanno la necessità di fare accordi sindacali ma si rivolgono direttamente alla Regione”. Un elenco destinato a ingrossarsi ancor di più se pensiamo che al conto manca tutta la fetta dei lavoratori in nero che restano esclusi anche dalle misure previste dal Protocollo di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Un problema grosso in vista della fase 2. “Il tema della sicurezza per i lavoratori in nero è complesso – dichiara Magni – perché intanto non dovrebbero esserci. Poi perché chi dovrebbe controllare non ha personale sufficiente per farlo in modo diffuso perché l’Ispettorato del lavoro è sotto organico ormai da troppo tempo e dovrebbe assumere nuovo personale o essere affiancato da altri in questa attività di vigilanza. Noi come sindacato possiamo fare poco nelle realtà dove non siamo presenti”.
Un problema grosso, dicevamo, perché si tratta di persone, famiglie, vite. A rischio.
Lo abbiamo già visto nella fase 1 quando tutta una porzione di lavoratori, con un contratto regolare, è stata abbandonata senza DPI. E non parliamo solo di medici e infermieri e OSS, ma del personale degli appalti dimenticato negli ospedali e nelle RSA.
“Sono lavoratori che vengono ricordati troppo poco anche se svolgono un lavoro fondamentale perché se negli ospedali o nelle case di riposo arrivano i pasti e si fa la sanificazione delle stanze, è perché ci sono loro”, dichiara Magni ricordando che finalmente “il Protocollo di sicurezza nei luoghi di lavoro, rinnovato qualche giorno fa, si occupa anche degli appalti e dunque le aziende dovranno prenderne atto. Certo, invece di chiamarli eroi, bisognerebbe ricordarsi di loro quando si rinnovano i contratti e quando si parla dei bandi di gara, invece in questi casi i lavoratori vengono affrontati solo come costi”.
Lo stesso vale per gli addetti alle mense scolastiche, in attesa del FIS e senza un reddito da quando l’emergenza sanitaria ha chiuso le scuole, due mesi fa.
“Alcune aziende hanno anticipato l’assegno di solidarietà ma la maggioranza non lo ha fatto portando come giustificazione che, avendo un impegno su tutto il territorio nazionale e non solo su Genova, non c’era la liquidità utile“, continua Magni che poi precisa: “Noi, dove avevamo la certezza che le aziende avessero la liquidità, abbiamo firmato gli accordi per gli ammortizzatori sociali solo a condizione che dessero l’anticipo. Negli altri casi abbiamo firmato comunque, perché è chiaro che in questo momento un sostegno economico va dato”.
Il problema è che adesso i lavoratori sono ostaggio dei tempi dell’INPS e “non si capisce come si possano lasciare in attesa per più di due mesi persone che, quando va bene e in tempi normali, portano a casa 600/700 euro al mese. In questa emergenza molti si trovano nella difficoltà di non poter comprare da mangiare“. Una situazione ancora più grave per quelle di loro che sono madri single e che nell’ultimo computo disastroso dell’European institute for gender equality (Eige) rientrano nella quota delle persone a forte rischio di povertà.
“Come Camera del Lavoro stiamo facendo pressione sia sull’INPS che sul Governo. In questi giorni abbiamo avuto un incontro anche con il Comune di Genova che si è preso l’impegno di capire come convertire il servizio”, spiega Magni che poi si arrabbia: “I lavoratori non possono vivere d’aria, è vergognoso che a oggi non abbiano ricevuto il becco d’un quattrino”.
In sostanza: l’INPS ha i suoi tempi biblici, le aziende datoriali sono senza liquidità e non hanno anticipato un centesimo pur potendo rivalersi sull’INPS, a conguaglio, e tutti lasciano i lavoratori alla fame.
Liquidità è la parola chiave.
È per questo che Confindustria va in pressing e le regioni del Nord forzano per la riapertura. Ma siamo davvero pronti per affrontare la fase 2?
“Io capisco che ci siano difficoltà economiche”, afferma Magni che poi punta il dito sulle Regioni più ansiose: “Piemonte, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, nelle settimane scorse hanno forzato molto per l’avvio della fase 2 però io credo che tutto debba essere sottoposto a un percorso di sicurezza. Il problema non è quando riaprire ma come. Dobbiamo mettere le persone nella condizione di lavorare in sicurezza. Se qualcuno pensa che il virus sia sparito si sbaglia, non è così. Dobbiamo ripartire sapendo che il rischio è anche quello di una ripresa dei contagi come è accaduto in Spagna e in Germania. Dunque bisogna fare grande attenzione a quello che dicono le commissioni scientifiche. Ricordo ai politici e agli industriali che non sono esperti di sanità“.
Stessa considerazione è arrivata dal Ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, che ha minacciato ricorsi al TAR per le fughe in avanti delle Regioni che non rispetteranno il DPCM.
Aggiunge Magni lanciando una frecciata a chi va in cerca di consensi elettorali: “Sembra di assistere a una gara di visibilità”, e poi ricorda quanto sia difficile far rispettare i Protocolli di sicurezza: “Faccio l’esempio di Fincantieri. Mentre a Sestri Ponente è ripartita in condizioni di sicurezza, a Riva Trigoso volevano ricominciare in condizioni che non abbiamo ritenuto sufficienti a garantire i lavoratori e abbiamo dichiarato lo sciopero. Noi siamo pronti a fare altrettanto per tutte le altre aziende dove siamo presenti, noi siamo pronti a denunciare quelle che non rispetteranno le disposizioni“.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.