Secondo numerose inchieste del Ros, l’uomo aveva rapporti con i pezzi grossi delle cosche del Ponente
Imperia – Ha patteggiato 5 anni di carcere Mario Mandarano per l’indagine della Squadra Mobile di Imperia che durante il lockdown, oltre a ingenti quantità di stupefacenti, ha scoperto anche un ricco arsenale di armi nello scantinato della sua abitazione a Taggia, nel Ponente ligure.
Un lanciarazzi pronto all’uso nascosto nello scantinato
Esplosivi, detonatori e micce, bombe a mano, due fucili a pompa, un fucile a canne mozze caricato, pistole mitragliatrici con relativi caricatori, pistole di vario calibro, munizioni e un lanciarazzi pronto all’uso, oltre ad armi bianche, confezioni di stupefacenti, titoli di credito, denaro contante, maschere in lattice, parrucche e baffi, sono l’elenco di quanto rivenuto nel marzo 2020, dagli agenti della Polizia di Stato.
Ma chi è Mandarano, custode di questo arsenale?
Mandarano è una figura già emersa nel contesto di quella ‘ndrangheta che – nonostante le operazioni “Maglio 3”, “La Svolta” e “Ponente Forever”, relative all’imperiese – continua ad operare senza interruzione, attraverso volti noti e volti insospettabili.
Il suo nome esce prima di tutto nell’indagine sulla cosca ‘ndranghetista dei Mafodda, storico nucleo della ‘ndrangheta originario di Palmi e radicato nel territorio di Arma di Taggia da decenni tanto che spiccava, insieme ai Marcianò, già negli anni ’80, nell’inchiesta sul gruppo di Alberto Teardo per l’acquisizione di pacchetti di voti da parte dell’esponente socialista presidente della Regione Liguria.
Nell’Informativa “Roccaforte” del Ros di Genova, ove si ripercorre la storia del nucleo dei Mafodda, si legge: “Nel 1986, il gruppo raggiungeva il proprio apice criminale con il sequestro di persona del piccolo Baldoni Lorenzo, figlio di un farmacista di Bussana, delitto per il quale erano arrestati e condannati a lunghe pene detentive i principali componenti del clan: Mafodda Rodolfo, Mario e Palmiro, Del Duca Antonino, Michelizzi Francesco e Mandarano Mario”.
Ancora i militari dell’Arma, in relazione alla ‘ndrangheta di Taggia, e specificatamente al Mario Mandarano e al Massimo Gangemi (nipote del reggente della ‘ndrangheta in Liguria, Domenico Gangemi, arrestato e condannato nell’ambito dell’operazione “Crimine” di Reggio Calabria), scrivono: “In data 9 ottobre 2002, in località Arma di Taggia (IM), la Squadra Mobile di Imperia li traeva in arresto, per detenzione illegale di armi da guerra e detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente eseguita una perquisizione all’interno di un garage nella disponibilità dei predetti, dove erano rinvenuti tre borsoni sportivi ed un’ultima borsa, tutti contenenti materiale di armamento di varia fattura. L’operazione si collocava all’interno di un’articolata indagine, coordinata dalla D.D.A. di Reggio Calabria, tesa a disgregare un sodalizio criminoso di matrice ‘ndranghetista, dedito al traffico di sostanze stupefacenti, operante in Calabria e con appendici in altre aree della Penisola”.
Per rendere l’idea, in quattro borsoni vennero rivenuti e sequestrati: 2 fucili a pompa calibro 12, una pistola semiautomatica calibro 9, una pistola semiautomatica calibro 7,65, una pistola semiautomatica calibro 6,35 con silenziatore, vari silenziatori, una pistola mitragliatrice calibro 7,65, una mitraglietta calibro 9, una pistola calibro 12, una Beretta calibro 6.35, una pistola a salve, un apparato radio portatile, munizioni e caricatori, 4 bombe a mano a frammentazione, due bilancini di precisione, 2 passamontagna Mefisto di colore nero, e materiale per il confezionamento degli stupefacenti.
I rapporti con i pezzi grossi della ‘ndrangheta
Il rapporto tra Mandarano e Domenico “Mimmo” Gangemi, oltre che con Massimo Gangemi, risultava attestato dal Ros già nel 2000, nell’indagine “Maglio”, quando il 15 febbraio veniva documentato l’incontro di Mandarano e Massimo Gangemi con gli esponenti della locale di Genova, Argangelo Condidorio e Gangemi Domenico “Mimmo”. Sempre il Ros documentava gli “stretti rapporti” tra Mandarano e l’esponente apicale della ‘ndrangheta nel Ponente ligure Domenico Carlino, dimostratosi molto legato a Carmelo Gullace, referente della cosca Raso-Gullace-Albanese nel Nord-Ovest.
Nella stessa indagine “Maglio”, il Ros di Genova riusciva a documentare una delle riunioni della consorteria ‘ndranghetista operante in Liguria, tenutasi l’8 aprile 2001 presso il ristorante “Gli amici del conte” di Diano San Pietro. In quell’occasione anche Mandarano risultava tra i partecipanti, insieme all’allora reggente della ‘ndrangheta in Liguria e Basso Piemonte Antonio Rampino, e poi Vincenzo Moio, Francesco Barilaro, Benito Pepè, Raffaele Papalia, Nicola Riotta, Rocco Panetta, Michele Ciricosta, Giuseppe Caridi, Antonio Maiolo, oltre che Salvatore Iemma, legato ai Romeo di Sarzana, nonché in rapporti stretti con l’articolazione della ‘ndrangheta della Lombardia e la cosca Pesce di Rosarno, e attivo con il nucleo imparentato ai Romeo, di Giovanni Faenza, nei rapporti con la consorteria insediata a Varazze, in provincia di Savona.
Il Centro Operativo D.I.A. di Genova, nell’informativa che ha condotto all’adozione della sorveglianza speciale qualificata e alla confisca definitiva a carico dei noti fratelli Pellegrino – Giovanni, Maurizio e Roberto -, richiamava i rapporti che il nucleo ‘ndranghetista di Bordighera aveva con il Mandarano insieme a “Raso Emilio, nato a Cittanova (RC) il 06.04.1948, sorvegliato speciale con precedenti per furto aggravato, ricettazione, falsi in genere, estorsione, associazione per delinquere, numerosi precedenti in materia di traffico di sostanze stupefacenti e armi clandestine” nonché con il noto esponente apicale della ‘ndrangheta Antonio Palamara, legato ai sodalizi degli Alvaro di Sinopoli e dei Pelle di San Luca.
E infatti Mandarano risultava coinvolto nell’operazione “Mandeo”, del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Imperia, in cui spiccavano sia Palamara che diversi esponenti della famiglia Barilaro, legata anche da vincolo di parentela ai Pellegrino e, con questi, attiva nell’articolazione di Bordighera.
Anche nel dibattimento del procedimento “La Svolta” comprare la figura di Mandarano. In questo caso è il collaboratore di giustizia Giovanni Cretarola che lo indica, con Massimo Gangemi, per i traffici di stupefacenti gestiti dalla ‘ndrangheta del Ponente ligure.
Non è un cane sciolto, l’ominicchio dell’arsenale in cantina. È ben inserito in un contesto che, ancora di recente, ha visto compiere un’esecuzione in piena regola per mano di uno dei giovani della famiglia Pellegrino. Un contesto in cui operano soggetti noti così come altri soggetti, legati a un esponente apicale della cosca De Stefano, quale quel Vittorio Antonio Canale gestore di un ristorante a Nizza, e al contempo in affari con i potenti casati del narcotraffico quali i Barbaro-Papalia di Platì, che intrallazzano dalla loro roccaforte di Buccinasco.
Un’organizzazione unitaria, radicata in tutto il territorio della Liguria e strettamente collegata alle articolazioni presenti in nord Italia e in Costa Azzurra, Montecarlo compresa. Composta da soldati e colletti bianchi, forti di una capacità di intimidazione che assoggetta il territorio e la comunità, piegandola all’omertà, e altrettanto capace di intimidire professionisti, politici e funzionari pubblici quando non riesce a comprarli e corromperli, soffocando l’economia e le imprese oneste.
Un contesto che bisogna far emergere pienamente. Porlo sotto la massima attenzione sociale, oltre che giudiziaria. Soltanto così, inquadrando ogni componente nota e “invisibile”, li si potrà colpire e sconfiggere.
Christian Abbondanza
Blogger antimafia che da anni si preoccupa di denunciare nomi e cognomi e connivenze della ‘ndrangheta in Liguria. È il presidente della Casa della Legalità ONLUS, un occhio aperto sulla criminalità, le mafie, i reati ambientali e le complicità della Pubblica Amministrazione.